la prima ora di vita
da "la scientificazione dell'amore"

Si direbbe un brutto neologismo, ma ci fa osservare
Michel Odent, il geniale medico che da oltre vent'anni si è messo in ascolto
delle donne e dei loro neonati, che il
suffisso –azione si basa sul fatto che l’amore, un tempo argomento solo per
filosofi e poeti, sta sempre più
diventando oggetto di studio scientifico.
Con profondità di pensiero e amabile ironia unite a un’ostinata, conseguente conoscenza delle ricerche in atto da parte di settori diversi della scienza, Michel Odent è tornato a illuminare in modo nuovo e urgente la condizione della nascita e il rispetto per il primo potente legame d’amore, fonte di tutti gli altri e sempre più oggi posto a rischio grave.
Da millenni ci interessiamo all'amore, ma oggi i ricercatori ci spingono a nuove domande: come si sviluppa la capacità di amare? Da molto tempo cerco di raccogliere e di sintetizzare le risposte essenziali a questa domanda; è così che sono arrivato a capire che la scoperta più importante nel secolo scorso è stata che il neonato ha bisogno di sua madre. Fino agli anni Settanta del Novecento questo non si sapeva, non si vedeva. Da millenni infatti, praticamente presso tutti i gruppi umani, si sono radicati rituali e credenze per separare il bambino dalla madre e per ritardare l’inizio dell’allattamento. Si affermava ad esempio che il colostro – la prima sostanza che il bambino trova nel seno materno un’ora dopo la nascita – fosse pericoloso e inutile. Ci si affrettava a tagliare il cordone e a separare madre e figlio, non permettendo in alcun modo il primo incrocio di sguardi tra loro. Da noi in nome dell’igiene e del decoro subito si lava, si veste, si profuma e si mette il bambino nella culla: un gesto da massaie, si direbbe. Presso etnie antiche e lontane dal mondo occidentalizzato si attua un intervento non molto diverso per tenere lontani gli spiriti cattivi o per preservare la madre.
Quando ero studente nel ’53 –’54 in una maternità parigina mai avrei potuto immaginare un neonato nudo tra le braccia della madre. I condizionamenti culturali sono molto potenti, al punto di bloccare l’istinto materno che è protettivo e aggressivo insieme. Qualcuno che tentasse di togliere il cucciolo a una scimmia che abbia appena partorito, correrebbe seri rischi di sopravvivenza. Nella specie umana questa reazione è stata del tutto soffocata, mentre le ricerche etologiche riguardo al comportamento materno di animali e di umani hanno messo in luce l’esistenza subito dopo la nascita di un periodo critico [o sensitivo, direbbe Montessori] favorevole all'attaccamento madre/figlio e quindi all'allattamento.
Nel frattempo la prassi della separazione è continuata. Si sono aperte altre prospettive, ad esempio sul fatto che nella donna si libera nel corso del parto un potente cocktail di ormoni, gli stessi che entrano in azione durante il rapporto sessuale o nell'avvio dell’allattamento: sono attivi entro le prime ore dopo la nascita se però madre e figlio restano uniti senza venire mai separati e nemmeno osservati o guidati. E’ in queste condizioni che si vede come il neonato si comporta alla ricerca attiva del seno: gira la testa da destra a sinistra e viceversa, la spinge in alto, protende le labbra fino raggiungere il capezzolo. Il neonato è attrezzato per trovare da sé il seno materno nella prima ora (ma solo se non ha subito allontanamenti di alcun genere) e la madre lo accompagna perché, in tale situazione, sa esattamente ciò che deve fare.
Nelle condizioni attuali, altamente tecnologizzate con apparecchiature elettroniche, tutto questo è represso, nascosto. Quando si parla in congressi di medici di questi fenomeni, essi vengono negati, semplicemente perché gli ostetrici non hanno mai potuto osservarli.
Ma consideriamo il fatto da un punto di vista batteriologico, sappiamo che prima di nascere il bambino è esente da microbi grazie al filtro placentare, mentre un’ora dopo la nascita ne ha a miliardi all'esterno e all'interno del suo organismo. Quali microbi riescono per primi a colonizzare il corpo del bambino? Si sa che il neonato ha gli stessi anticorpi della madre ed è quindi importante che siano gli stessi microbi della madre a farlo. In altre parole il neonato ha bisogno urgente di entrare in contatto con l’unica persona al mondo che abbia i suoi stessi anticorpi: la donna che lo ha appena partorito, mentre anche qui si vede come avvenga il contrario: allontanato dalla madre, toccato da altri, il bambino è assalito da microbi da cui non può ancora difendersi.
Oggi il tema dell’amore ha assunto tante sfaccettature che non si può che limitarne i confini. Per studiarlo apro una finestra su quelli che ho chiamato stati estatici / orgasmici della vita sessuale e in particolare sui climax, parola greca che significa “scala”: lo studio di ciò che avviene alla sommità. Sono fenomeni di riflesso, non solo della sessualità genitale (climax con l’eiezione dello sperma), ma anche del parto (eiezione del feto), del secondamento con l’uscita della placenta, dell’allattamento (comincia con il colostro e culmina con la montata lattea). Esistono forti similitudini tra i vari climax, perché in ciascuno di essi entrano in gioco lo stesso scenario – una prima fase alquanto passiva che dura intorno ai venti minuti e una fase finale breve, prorompente – e lo stesso potente cocktail di ormoni: ossitocina ed endorfine, accompagnate da un tipo di adrenalina che rende attiva e vigile la madre. Questo riflesso però non si verifica nelle sale parto dove la donna è di continuo osservata, guidata, controllata e a volte nemmeno nei parti in casa, se è assistita da qualcuno troppo invasivo.
L’adrenalina è un agente inibitore che si manifesta in situazioni di emergenza. Non si può fare l’amore se c’è un terrorista armato nel corridoio; la mucca non partorisce se non si sente sicura e così nella giungla la femmina di qualsiasi mammifero che si senta minacciata da un predatore rinvia la fase finale del parto per battersi o per fuggire.
Nella specie umana tutti gli ambienti culturali hanno cercato di ridurre e di nascondere i climax. Riti e regole sociali hanno disturbato e amplificato le difficoltà del parto, hanno regolamentato l’accoppiamento, hanno rinviato e intralciato l’allattamento. In quasi tutte le società umane i climax - sempre accompagnati da stati emozionali – trascendentali che danno accesso a un’altra realtà fuori della dimensione spazio/ tempo – sono stati repressi o tenuti lontani e la trascendenza è stata concessa a fatica per strade non naturali. Le religioni ad esempio hanno messo in campo le preghiere, i digiuni, il canto, la danza, l’arte e anche sostanze allucinogene.
Ricordo un congresso di ostetriche a Rio de Janeiro. Si discuteva di “Esperienze soggettive legate all'allattamento". Le presenti erano tutte donne e per la maggior parte madri. Una di loro cominciò a parlare del grande piacere provato allattando il figlio in grande intimità con lui, al punto di aver avuto un orgasmo quasi di tipo genitale. A quel punto un’altra delle presenti uscì in preda a una forte emozione. Solo dopo, alla fine dei lavori, riuscì a raccontare a qualcuno che vent'anni prima, allattando il suo bambino, aveva vissuto la stessa cosa, ma aveva provato un tale senso di vergogna e di colpa da decidere di non allattare più il figlio. Questa è la forza dei condizionamenti culturali.
In tutti gli stati orgasmici l’ossitocina è presente. I suoi effetti sono noti da circa un secolo relativamente alla nascita, al secondamento, alla contrazione del seno che prelude alla produzione lattea. Artefice di questi fenomeni di eiezione, l’ossitocina è stato definito ormone dell’amore. Tuttavia esso dipende fortemente dai fattori ambientali. Definirei l’ossitocina un ormone “timido”: non ha piacere di mostrarsi se si sente osservato, se sono presenti estranei. Non a caso nell'accoppiamento i due partners si isolano tra loro o per superare difficoltà di allattamento molti consigliano alle madri di trovarsi un luogo raccolto in penombra, con la porta chiusa e la sicurezza che nessuno entri all'improvviso.
In natura i mammiferi si comportano come se sapessero che l’ossitocina è un ormone “timido”: e gli umani? Nelle società cosiddette primitive la donna per partorire si allontanava nella boscaglia o entrava in una capanna speciale, al riparo da sguardi o da qualsiasi intrusione. Se si aveva bisogno di aiuto, lo chiedeva alla propria madre o a un’altra figura femminile di cui si poteva fidare totalmente. Via via questo è cambiato profondamente, il parto si è sempre più socializzato, fino a che lo si è affidato a uomini appena conosciuti. L’ostetrica e più ancora l’ostetrico sono diventati sempre più guide e controllori protagonisti della situazione ed è così che alle credenze e ai rituali si sono associate procedure sempre più invasive come la dilatazione manuale del collo, le pressioni sul ventre, le erbe… tutte pratiche che però stanno perdendo i loro vantaggi.
Il cambiamento è stato molto rapido dopo la seconda meta del XX secolo. Prima il parto era ancora una storia di donne, i medici non se ne occupavano ( ricordo bene come giovane medico che ancora negli anni Cinquanta si compariva in sala travaglio solo per un forcipe e si andava via subito). L’accelerazione delle pratiche si è accompagnata alla progressiva “mascolinizzazione” dell’ambiente. Le ostetriche hanno perso la loro funzione originaria e sono state soppiantate dai ginecologi, poi nel 1970 si è affermato il dogma del padre in sala parto e sono entrati in uso apparecchi elettronici sempre più sofisticati. L’alta tecnologia è un evidente simbolo di potere maschile e quindi anche la socializzazione del parto è diventata dominio dei maschi. Ricorderete la teoria di Pavlov in base alla quale si sosteneva che anche il dolore del parto fosse un riflesso condizionato e che fosse necessario decondizionare la donna perché non soffrisse. Di qui la necessità che le partorienti andassero a scuola per sapere come respirare, come spingere. (E’ significativo che negli stati Uniti la persona che conduceva tali insegnamenti venisse chiamata coach , allenatore).
Oggi si è completamente dimenticato che l’ossitocina è un ormone “timido”. Dagli USA all'Europa c’è stata un’epidemia di video sul parto considerato naturale perché si svolgeva a casa o con l’uso della piscina. In realtà non è così: c’è la video-camera e quindi molta luce, tre o quattro persone sono presenti. Il clima di intimità è sparito. Occorre riscoprire i veri bisogni della donna che partorisce. L’intera umanità è a una svolta. Fino a poco fa una donna non poteva avere un figlio senza liberare una bella dose di ormoni. Oggi il numero di donne che mettono fuori il bambino e la placenta con ormoni propri è praticamente zero. Oggi grande parte di esseri umani nasce per cesarei e non solo in Italia meridionale, ma anche in Turchia, Iran, Corea, Cina, India, Sud America…Le donne per prime chiedono aiuti chimici. La peridurale sostituisce le endorfine, l’ossitocina chimica accelera e blocca gli ormoni naturali, ormai resi inutili. Che cosa accadrà tra tre o quattro generazioni? Quale sarà l’esito di procedure che sempre più allontanano madre e figlio e disturbano l’allattamento materno? Quali i vantaggi?
Siamo in un’epoca in cui la specie umana deve porre limiti alla dominazione sulla natura e inventare nuove strategie. Siamo arrivati al grande villaggio globale, ma avremmo bisogno di sviluppare il potenziale di amore anziché reprimerlo, di reagire al potenziale aggressivo che si oppone alla capacità di amare, inclusa nostra Madre Terra. Dobbiamo ripartire dal principio, da quella prima ora di vita in cui madre e neonato hanno così grande bisogno l’una dell’altro
Questa è la priorità che oggi si va riscoprendo: riesaminare a fondo i bisogni di base del neonato e della madre. Cinquant'anni fa la donna non chiedeva mai di prendere subito con sé il bambino appena uscito da lei, oggi questo è cambiato e dobbiamo capire perché e come.
Un ostacolo frequente negli ambienti di nascita naturale è il rifiuto delle conoscenze scientifiche (“Non ne abbiamo bisogno, ci bastano i sentimenti le emozioni” si sostiene). Ebbene, è un errore: dobbiamo diventare…bilingui se vogliamo progredire e convincere. Se ci limitiamo alle conoscenze intuitive in questo mondo così tecnologico, nessuno ci ascolterà: dobbiamo imparare a far coincidere esperienze intuitive con accertamenti scientifici, a usare i due linguaggi della mente, quello delle emozioni e quello delle conoscenze, colte attraverso contributi anche molto diversi tra loro. Questo bilinguismo potrà forse essere la nostra salvezza.
Michel Odent
Con profondità di pensiero e amabile ironia unite a un’ostinata, conseguente conoscenza delle ricerche in atto da parte di settori diversi della scienza, Michel Odent è tornato a illuminare in modo nuovo e urgente la condizione della nascita e il rispetto per il primo potente legame d’amore, fonte di tutti gli altri e sempre più oggi posto a rischio grave.
Da millenni ci interessiamo all'amore, ma oggi i ricercatori ci spingono a nuove domande: come si sviluppa la capacità di amare? Da molto tempo cerco di raccogliere e di sintetizzare le risposte essenziali a questa domanda; è così che sono arrivato a capire che la scoperta più importante nel secolo scorso è stata che il neonato ha bisogno di sua madre. Fino agli anni Settanta del Novecento questo non si sapeva, non si vedeva. Da millenni infatti, praticamente presso tutti i gruppi umani, si sono radicati rituali e credenze per separare il bambino dalla madre e per ritardare l’inizio dell’allattamento. Si affermava ad esempio che il colostro – la prima sostanza che il bambino trova nel seno materno un’ora dopo la nascita – fosse pericoloso e inutile. Ci si affrettava a tagliare il cordone e a separare madre e figlio, non permettendo in alcun modo il primo incrocio di sguardi tra loro. Da noi in nome dell’igiene e del decoro subito si lava, si veste, si profuma e si mette il bambino nella culla: un gesto da massaie, si direbbe. Presso etnie antiche e lontane dal mondo occidentalizzato si attua un intervento non molto diverso per tenere lontani gli spiriti cattivi o per preservare la madre.
Quando ero studente nel ’53 –’54 in una maternità parigina mai avrei potuto immaginare un neonato nudo tra le braccia della madre. I condizionamenti culturali sono molto potenti, al punto di bloccare l’istinto materno che è protettivo e aggressivo insieme. Qualcuno che tentasse di togliere il cucciolo a una scimmia che abbia appena partorito, correrebbe seri rischi di sopravvivenza. Nella specie umana questa reazione è stata del tutto soffocata, mentre le ricerche etologiche riguardo al comportamento materno di animali e di umani hanno messo in luce l’esistenza subito dopo la nascita di un periodo critico [o sensitivo, direbbe Montessori] favorevole all'attaccamento madre/figlio e quindi all'allattamento.
Nel frattempo la prassi della separazione è continuata. Si sono aperte altre prospettive, ad esempio sul fatto che nella donna si libera nel corso del parto un potente cocktail di ormoni, gli stessi che entrano in azione durante il rapporto sessuale o nell'avvio dell’allattamento: sono attivi entro le prime ore dopo la nascita se però madre e figlio restano uniti senza venire mai separati e nemmeno osservati o guidati. E’ in queste condizioni che si vede come il neonato si comporta alla ricerca attiva del seno: gira la testa da destra a sinistra e viceversa, la spinge in alto, protende le labbra fino raggiungere il capezzolo. Il neonato è attrezzato per trovare da sé il seno materno nella prima ora (ma solo se non ha subito allontanamenti di alcun genere) e la madre lo accompagna perché, in tale situazione, sa esattamente ciò che deve fare.
Nelle condizioni attuali, altamente tecnologizzate con apparecchiature elettroniche, tutto questo è represso, nascosto. Quando si parla in congressi di medici di questi fenomeni, essi vengono negati, semplicemente perché gli ostetrici non hanno mai potuto osservarli.
Ma consideriamo il fatto da un punto di vista batteriologico, sappiamo che prima di nascere il bambino è esente da microbi grazie al filtro placentare, mentre un’ora dopo la nascita ne ha a miliardi all'esterno e all'interno del suo organismo. Quali microbi riescono per primi a colonizzare il corpo del bambino? Si sa che il neonato ha gli stessi anticorpi della madre ed è quindi importante che siano gli stessi microbi della madre a farlo. In altre parole il neonato ha bisogno urgente di entrare in contatto con l’unica persona al mondo che abbia i suoi stessi anticorpi: la donna che lo ha appena partorito, mentre anche qui si vede come avvenga il contrario: allontanato dalla madre, toccato da altri, il bambino è assalito da microbi da cui non può ancora difendersi.
Oggi il tema dell’amore ha assunto tante sfaccettature che non si può che limitarne i confini. Per studiarlo apro una finestra su quelli che ho chiamato stati estatici / orgasmici della vita sessuale e in particolare sui climax, parola greca che significa “scala”: lo studio di ciò che avviene alla sommità. Sono fenomeni di riflesso, non solo della sessualità genitale (climax con l’eiezione dello sperma), ma anche del parto (eiezione del feto), del secondamento con l’uscita della placenta, dell’allattamento (comincia con il colostro e culmina con la montata lattea). Esistono forti similitudini tra i vari climax, perché in ciascuno di essi entrano in gioco lo stesso scenario – una prima fase alquanto passiva che dura intorno ai venti minuti e una fase finale breve, prorompente – e lo stesso potente cocktail di ormoni: ossitocina ed endorfine, accompagnate da un tipo di adrenalina che rende attiva e vigile la madre. Questo riflesso però non si verifica nelle sale parto dove la donna è di continuo osservata, guidata, controllata e a volte nemmeno nei parti in casa, se è assistita da qualcuno troppo invasivo.
L’adrenalina è un agente inibitore che si manifesta in situazioni di emergenza. Non si può fare l’amore se c’è un terrorista armato nel corridoio; la mucca non partorisce se non si sente sicura e così nella giungla la femmina di qualsiasi mammifero che si senta minacciata da un predatore rinvia la fase finale del parto per battersi o per fuggire.
Nella specie umana tutti gli ambienti culturali hanno cercato di ridurre e di nascondere i climax. Riti e regole sociali hanno disturbato e amplificato le difficoltà del parto, hanno regolamentato l’accoppiamento, hanno rinviato e intralciato l’allattamento. In quasi tutte le società umane i climax - sempre accompagnati da stati emozionali – trascendentali che danno accesso a un’altra realtà fuori della dimensione spazio/ tempo – sono stati repressi o tenuti lontani e la trascendenza è stata concessa a fatica per strade non naturali. Le religioni ad esempio hanno messo in campo le preghiere, i digiuni, il canto, la danza, l’arte e anche sostanze allucinogene.
Ricordo un congresso di ostetriche a Rio de Janeiro. Si discuteva di “Esperienze soggettive legate all'allattamento". Le presenti erano tutte donne e per la maggior parte madri. Una di loro cominciò a parlare del grande piacere provato allattando il figlio in grande intimità con lui, al punto di aver avuto un orgasmo quasi di tipo genitale. A quel punto un’altra delle presenti uscì in preda a una forte emozione. Solo dopo, alla fine dei lavori, riuscì a raccontare a qualcuno che vent'anni prima, allattando il suo bambino, aveva vissuto la stessa cosa, ma aveva provato un tale senso di vergogna e di colpa da decidere di non allattare più il figlio. Questa è la forza dei condizionamenti culturali.
In tutti gli stati orgasmici l’ossitocina è presente. I suoi effetti sono noti da circa un secolo relativamente alla nascita, al secondamento, alla contrazione del seno che prelude alla produzione lattea. Artefice di questi fenomeni di eiezione, l’ossitocina è stato definito ormone dell’amore. Tuttavia esso dipende fortemente dai fattori ambientali. Definirei l’ossitocina un ormone “timido”: non ha piacere di mostrarsi se si sente osservato, se sono presenti estranei. Non a caso nell'accoppiamento i due partners si isolano tra loro o per superare difficoltà di allattamento molti consigliano alle madri di trovarsi un luogo raccolto in penombra, con la porta chiusa e la sicurezza che nessuno entri all'improvviso.
In natura i mammiferi si comportano come se sapessero che l’ossitocina è un ormone “timido”: e gli umani? Nelle società cosiddette primitive la donna per partorire si allontanava nella boscaglia o entrava in una capanna speciale, al riparo da sguardi o da qualsiasi intrusione. Se si aveva bisogno di aiuto, lo chiedeva alla propria madre o a un’altra figura femminile di cui si poteva fidare totalmente. Via via questo è cambiato profondamente, il parto si è sempre più socializzato, fino a che lo si è affidato a uomini appena conosciuti. L’ostetrica e più ancora l’ostetrico sono diventati sempre più guide e controllori protagonisti della situazione ed è così che alle credenze e ai rituali si sono associate procedure sempre più invasive come la dilatazione manuale del collo, le pressioni sul ventre, le erbe… tutte pratiche che però stanno perdendo i loro vantaggi.
Il cambiamento è stato molto rapido dopo la seconda meta del XX secolo. Prima il parto era ancora una storia di donne, i medici non se ne occupavano ( ricordo bene come giovane medico che ancora negli anni Cinquanta si compariva in sala travaglio solo per un forcipe e si andava via subito). L’accelerazione delle pratiche si è accompagnata alla progressiva “mascolinizzazione” dell’ambiente. Le ostetriche hanno perso la loro funzione originaria e sono state soppiantate dai ginecologi, poi nel 1970 si è affermato il dogma del padre in sala parto e sono entrati in uso apparecchi elettronici sempre più sofisticati. L’alta tecnologia è un evidente simbolo di potere maschile e quindi anche la socializzazione del parto è diventata dominio dei maschi. Ricorderete la teoria di Pavlov in base alla quale si sosteneva che anche il dolore del parto fosse un riflesso condizionato e che fosse necessario decondizionare la donna perché non soffrisse. Di qui la necessità che le partorienti andassero a scuola per sapere come respirare, come spingere. (E’ significativo che negli stati Uniti la persona che conduceva tali insegnamenti venisse chiamata coach , allenatore).
Oggi si è completamente dimenticato che l’ossitocina è un ormone “timido”. Dagli USA all'Europa c’è stata un’epidemia di video sul parto considerato naturale perché si svolgeva a casa o con l’uso della piscina. In realtà non è così: c’è la video-camera e quindi molta luce, tre o quattro persone sono presenti. Il clima di intimità è sparito. Occorre riscoprire i veri bisogni della donna che partorisce. L’intera umanità è a una svolta. Fino a poco fa una donna non poteva avere un figlio senza liberare una bella dose di ormoni. Oggi il numero di donne che mettono fuori il bambino e la placenta con ormoni propri è praticamente zero. Oggi grande parte di esseri umani nasce per cesarei e non solo in Italia meridionale, ma anche in Turchia, Iran, Corea, Cina, India, Sud America…Le donne per prime chiedono aiuti chimici. La peridurale sostituisce le endorfine, l’ossitocina chimica accelera e blocca gli ormoni naturali, ormai resi inutili. Che cosa accadrà tra tre o quattro generazioni? Quale sarà l’esito di procedure che sempre più allontanano madre e figlio e disturbano l’allattamento materno? Quali i vantaggi?
Siamo in un’epoca in cui la specie umana deve porre limiti alla dominazione sulla natura e inventare nuove strategie. Siamo arrivati al grande villaggio globale, ma avremmo bisogno di sviluppare il potenziale di amore anziché reprimerlo, di reagire al potenziale aggressivo che si oppone alla capacità di amare, inclusa nostra Madre Terra. Dobbiamo ripartire dal principio, da quella prima ora di vita in cui madre e neonato hanno così grande bisogno l’una dell’altro
Questa è la priorità che oggi si va riscoprendo: riesaminare a fondo i bisogni di base del neonato e della madre. Cinquant'anni fa la donna non chiedeva mai di prendere subito con sé il bambino appena uscito da lei, oggi questo è cambiato e dobbiamo capire perché e come.
Un ostacolo frequente negli ambienti di nascita naturale è il rifiuto delle conoscenze scientifiche (“Non ne abbiamo bisogno, ci bastano i sentimenti le emozioni” si sostiene). Ebbene, è un errore: dobbiamo diventare…bilingui se vogliamo progredire e convincere. Se ci limitiamo alle conoscenze intuitive in questo mondo così tecnologico, nessuno ci ascolterà: dobbiamo imparare a far coincidere esperienze intuitive con accertamenti scientifici, a usare i due linguaggi della mente, quello delle emozioni e quello delle conoscenze, colte attraverso contributi anche molto diversi tra loro. Questo bilinguismo potrà forse essere la nostra salvezza.
Michel Odent