Gli errori e la loro correzione
Se pensiamo alla nostra infanzia o all’adolescenza, possiamo ricordare quante volte, dopo una sgridata per aver sbagliato in qualcosa, ci è accaduto di pensare: “Ma perché me lo dice? Me ne era già accorto da solo!”. Avevamo visto l’errore e subito intravisto la sua soluzione, ma l’altro - il genitore, il nonno, il maestro, il medico e altri ancora– subito interveniva per dirci che cosa e come dovevamo fare e noi restavamo lì un po’ umiliati e con un sentimento di sconfitta…
Questa caccia all’errore è al centro di una continua lotta tra l’adulto e il bambino, - come la definiva Maria Montessori - considerato troppo piccolo per capire che e come deve correggersi.
“Gliel’ho detto tante volte e invece lui (o lei) ogni volta…”. Ma davvero la predica continua può aiutarci a memorizzare e a prevenire lo sbaglio o invece suscita in noi risentimento e rabbia per cui siamo indotti a fare il contrario? Questo comportamento che ha costellato le nostre vite si è così ben fissato in noi, che lo ripetiamo con i nostri figli, e loro , appena divenuti genitori, lo ripeteranno con la loro progenie. Una catena che si ripete nel tempo.
Ogni scienziato, ogni tecnico che compia un esperimento e fallisce – ecco lo sbaglio –riprova: qualcosa manca o è di troppo? Corregge e raggiunge il buon risultato.
Il violinista alle prese con un passaggio difficile, prova e riprova, corregge l’imperfezione e alla fine le note escono perfette.
Il cuoco che prepara un pranzo... Il sarto che taglia un abito… In ogni mestiere…Anzi, in ogni atto umano, c’è un inizio, una serie di prove imperfette per raggiungere il risultato ideale… E’ quello che il grande Galileo chiamava “procedere per prove e tentativi”.
Guardiamo al bambino piccolo: quante prove fa prima di saper dire una parola perfetta , di procedere a quattro gambe o camminare da solo sulle due? Quante volte si sbrodolerà prima di arrivare a usare il cucchiaio in modo sicuro?
Quante volte cerca di infilare cose piccole in una ciotola grande e poi cose grandi in una piccola, prima di cogliere da sé la differenza? E’ un esploratore nato e ogni tentativo fallito - ogni sbaglio – lo induce a provare ancora. Non diciamogli subito :”Ma non vedi che…”.
Provare e riprovare da solo gli dà più sicurezza.
I piccoli si aspettano da noi pazienza, non intervento, sorrisi incoraggianti , piuttosto che rimbrotti e continue lezioni sugli sbagli. Piuttosto mostriamogli in modo delicato con gesti lenti al rallentatore “come si fa”- come si chiude un rubinetto; come si trasporta un bicchiere con un po’ d'acqua dentro (non pieno, perché sarebbe troppo difficile e noi dobbiamo sempre favorire la buona riuscita dell’azione; come si tiene la matita, come si sfoglia un libro; come si innaffia una pianta; come si saluta una signora…). Tutto può essere presentato al bambino, ma prima, perché possa regolarsi da sé all’occorrenza e non dopo che è successo il fattaccio e ci avventiamo su di lui per mettere in evidenza le sue incertezze.
Gli errori dobbiamo considerarli come amici che ci aiutano a fare meglio, ad essere più disinvolti e più sicuri. Per questo umiliazioni e sgridate non funzionano!
Questa caccia all’errore è al centro di una continua lotta tra l’adulto e il bambino, - come la definiva Maria Montessori - considerato troppo piccolo per capire che e come deve correggersi.
“Gliel’ho detto tante volte e invece lui (o lei) ogni volta…”. Ma davvero la predica continua può aiutarci a memorizzare e a prevenire lo sbaglio o invece suscita in noi risentimento e rabbia per cui siamo indotti a fare il contrario? Questo comportamento che ha costellato le nostre vite si è così ben fissato in noi, che lo ripetiamo con i nostri figli, e loro , appena divenuti genitori, lo ripeteranno con la loro progenie. Una catena che si ripete nel tempo.
Ogni scienziato, ogni tecnico che compia un esperimento e fallisce – ecco lo sbaglio –riprova: qualcosa manca o è di troppo? Corregge e raggiunge il buon risultato.
Il violinista alle prese con un passaggio difficile, prova e riprova, corregge l’imperfezione e alla fine le note escono perfette.
Il cuoco che prepara un pranzo... Il sarto che taglia un abito… In ogni mestiere…Anzi, in ogni atto umano, c’è un inizio, una serie di prove imperfette per raggiungere il risultato ideale… E’ quello che il grande Galileo chiamava “procedere per prove e tentativi”.
Guardiamo al bambino piccolo: quante prove fa prima di saper dire una parola perfetta , di procedere a quattro gambe o camminare da solo sulle due? Quante volte si sbrodolerà prima di arrivare a usare il cucchiaio in modo sicuro?
Quante volte cerca di infilare cose piccole in una ciotola grande e poi cose grandi in una piccola, prima di cogliere da sé la differenza? E’ un esploratore nato e ogni tentativo fallito - ogni sbaglio – lo induce a provare ancora. Non diciamogli subito :”Ma non vedi che…”.
Provare e riprovare da solo gli dà più sicurezza.
I piccoli si aspettano da noi pazienza, non intervento, sorrisi incoraggianti , piuttosto che rimbrotti e continue lezioni sugli sbagli. Piuttosto mostriamogli in modo delicato con gesti lenti al rallentatore “come si fa”- come si chiude un rubinetto; come si trasporta un bicchiere con un po’ d'acqua dentro (non pieno, perché sarebbe troppo difficile e noi dobbiamo sempre favorire la buona riuscita dell’azione; come si tiene la matita, come si sfoglia un libro; come si innaffia una pianta; come si saluta una signora…). Tutto può essere presentato al bambino, ma prima, perché possa regolarsi da sé all’occorrenza e non dopo che è successo il fattaccio e ci avventiamo su di lui per mettere in evidenza le sue incertezze.
Gli errori dobbiamo considerarli come amici che ci aiutano a fare meglio, ad essere più disinvolti e più sicuri. Per questo umiliazioni e sgridate non funzionano!