“Chi ha rubato il sonno al mio bambino?”
Così inizia una celebra poesia del poeta indiano Tagore.
Se lo chiedono in molti modi tante mamme in ansia per le difficoltà di addormentamento e per i risvegli dei loro piccoli figli.
Che cosa si può rispondere? Anzitutto che il sonno di un bambino, ogni sera, ogni notte, è un evento delicato che non possiamo comandare a piacere.
È il cervello che lo guida a seconda di quanto gli accade quando è sveglio: è così per un piccolino come per un adulto.
Perché si dorme? Il sonno ci dà il giusto riposo dopo la fatica (i bambini che sono in continuo movimento, che agiscono, parlano e usano le cose, alla fine stanchi): fatica fisica e insieme mentale, cerebrale, ma su questa si è poco attenti, nella convinzione che un personaggio di pochi mesi o di pochi anni non sia un essere pensante.
Certo, non ragiona come noi, non è consapevole di ciò che fa, ma il suo cervello lavora, eccome! Ogni volta che sente qualcosa o entra in contatto con qualcuno, che ascolta o vede e afferra un oggetto, milioni delle sue cellule celebrali – i neuroni - si mettono in contatto tra loro per arricchire i processi mentali.
Mosso da un interesse istintivo per le cose e per le persone, costruisce a poco a poco concetti sempre più precisi. Guarda molto i genitori e sul loro modo di comportarsi e di parlare modella gesti e linguaggio. Ripete di continuo le sue semplici azioni per perfezionarsi; non sa di saper fare, ma è molto bravo a correggere errori e imperfezioni.
Anche qui gli adulti sbagliano quando sono convinti che, se non sono loro a dire ogni volta dove ha sbagliato, il bambino non sappia vederlo da sé.
Invece è l’esatto contrario e su questa incomprensione e sfiducia si innesta fin dai primi anni una dura lotta tra adulto e bambino, in famiglia come a scuola, anzi dal Nido.
Il continuo lavoro quotidiano - che ogni bambino dei primi due anni compie per mettere le basi alla propria esistenza - esige grande energia fisica e psichica ed è solo il sonno, una notte dopo l’altra, a rinnovarla di continuo.
Allora, se il fenomeno è del tutto naturale, perché si sentono da più parti tante grida d’allarme?
Il bambino che nella notte si sveglia e vuole mangiare, giocare, infilarsi nel letto dei genitori, muoversi a piacere nel lettone e così via, è in condizioni naturali o no?
Sono capricci suoi o sono stati gli adulti, per bloccare le sue proteste, a far nascere tali abitudini?
Chiediamoci dunque: com’è la sua vita di giorno?
Molti piccoli sono in perenne opposizione: non vogliono mangiare, non vogliono vestirsi né lavarsi, sono attaccati al ciuccio e passano ore e ore davanti alla televisione. Perfino l’I- pad sta diventando mezzo comune per “calmarli”. A poco a poco diventano autentici tiranni, urlanti, capaci di schiaffeggiare o di mordere anche il genitore.
Al momento del sonno o del pasto - situazioni legate ai bisogni primari – si mostrano ancor più incontrollabili a causa dell’incapacità dei familiari di essere fermi e al tempo saper dare la libertà, quando e come necessaria.
Oggi un piccolo quasi mai ha una vita regolata dal suo ritmo interno, è iper-stimolato: con la scusa del marsupio (ottimo, se usato con giudizio!), è portato ovunque fin dai primi giorni, nella luce e nel chiasso, perfino dove si mangia e si fuma; nei mesi seguenti passa per tante mani, prima di aver potuto costruire dentro di sé immagini interne e certe di una persona stabile che gli parla e ha cura di lui (o lei).
Il pianto è visto solo come capriccio o dispetto, mai letto come segno di bisogni insoddisfatti (nei momenti del cibo, quando il bambino tenta di fare cose da solo; quando non vuole andare a dormire e s’inventano mille cose per distrarlo, compreso quello di dargli da mangiare o di giocare nel lettone alle tre di notte). Si muove “troppo”? Ecco pronto l’ovetto, nel quale lo si può dondolare e portare qua e là.
Quando comincia a spostarsi, invece di permettergli di esplorare la casa a quattro gambe, lo si rinchiude nel girello, nel box (che lo spinge ad alzarsi prima del tempo), nel seggiolone, nella carrozzina, nel letto con le sbarre. Tutti mezzi di contenzione!
Anche lo svezzamento comincia in anticipo, addirittura al 3° - 4° mese per portarlo al Nido, quando è ancora molto forte l’esigenza di succhiare. (Chi alleva animali, sa le conseguenze di un distacco precoce dalla madre-nutrice: il cucciolo umano non corre rischi di sorta?).
Alla scuola d’infanzia spesso viene richiesto di non far dormire il bambino di pomeriggio perché, si dice, si addormenterà più facilmente la sera e non si sveglierà di notte. Viceversa questa è una grande illusione perché il sonno non possiamo metterlo dove piace a noi, ma deve essere la risposta a una buona vita durante il giorno, su misura del bambino.
Il sonno “cattivo” è il prodotto da una parte di ritmi forzati che vengono imposti sui bisogni degli adulti, dall’altra dalle risposte assurde che vengono date al bambino quando si sveglia di notte.
Ad esempio: piange, si accendono luci e televisione; per farlo riaddormentare si arriva a uscire in piena notte in auto perché ritrovi il sonno al ritmo della macchina, oppure lo si accontenta con un biberon di camomilla molto dolcificata con zucchero, glucosio o miele (cosa che produce altri danni) ….
Tutto è più semplice se fin dal principio si seguono ritmi regolari senza poi alterarli e si danno al bambino poche, semplici regole che non cambiano, il bambino si muove entro confini chiari che gli comunicano certezza e senso di stabilità.
C’è una sola risposta da dare al bambino inquieto, con gentilezza, ma in tono fermo: “Adesso si dorme!”. Non si danno distrazioni, ma gli si resta accanto, vigilando che stia fermo e che trovi il suo sonno, eventualmente nei periodi di maggior crisi e di malessere, anche fisico, mettendo una brandina accanto al suo lettino, tolte le sbarre.
La questione del lettone: bello dormire tutti e tre insieme, in principio!
(E’ già più difficile quando il neonato è un secondogenito e si è in quattro).
Molti genitori oggi mettono d’abitudine il bambino a dormire nel proprio letto: può essere un accorgimento positivo nei primi mesi di vita, ma non indispensabile se, in questo stesso periodo, il bambino dorme nella sua culla, posta accanto al letto materno. In tal modo la vicinanza tranquillizza entrambi, ma il bambino assimila il fatto di avere un proprio posto per dormire.
Nel caso invece la madre desideri tenere il bambino nel proprio letto, deve rendersi conto che, già verso il settimo/ottavo mese, il bambino diventa ben consapevole del posto che occupa nel lettone e sarà molto più difficile, a partire da quel tempo, che dorma volentieri da solo in un proprio letto.
Il bambino crescendo prende fra i genitori un posto sempre maggiore, sentendo il dormire in mezzo a loro un suo pieno diritto (e crescendo diventa, come alcune coppie lamentano, decisamente ingombrante, anche perché impedisce la vita di coppia (non meno necessaria all’equilibrio della piccola famiglia). D’altro canto non aiuta il bambino nello sviluppo delle sue prime indipendenze.
Come gli uccelli quando hanno messo le piume spingono i loro pulcini fuori dal nido o i mammiferi portano fuori dalla tana all’aperto i loro piccoli, così anche nella specie umana bisogna capire il momento opportuno per stabilire i reciproci spazi di vita.
È molta diversa la situazione tra un bambino nutrito esclusivamente con latte materno (meglio se almeno fino al 6°- 7° mese) e il bambino che, pochi mesi dopo, comincia a mangiare con il cucchiaio, bere da solo con un piccolo bicchiere, giocare con vivo interesse ad operare oggetti in vari modi, aprire e chiudere uno sportello, lanciare un oggetto e riprenderlo e così via. Forse ha già i primi dentini e sta seduto con sicurezza, altri segnali di nuove indipendenze acquisite: “Non sono più un piccolissimo” sembra dire ed è in questo periodo che dovrebbe addormentarsi nel proprio lettino.
Che gli riesca facilmente, è tutto merito dei suoi che hanno saputo condurre le cose adagio, secondo i suoi modi e i suoi tempi. Ogni passaggio, a questa età, non può che avvenire lentamente, sapendo che, se effettuato tardi, oltre l’8 o 9 mese, potrà presentare difficoltà e richiederà maggiore lentezza.
Molti bambini dormono con i genitori ben oltre i 3/ 4 anni per ragioni diverse, magari perché il padre lavora lontano, la madre prende il bambino con sé, ma quando il compagno ritorna… .Oppure il piccolo ha avuto una malattia di due o tre settimane, ha sofferto e per dargli maggiore protezione ha dormito con la mamma, ora sta bene e deve tornare nel suo lettino…
Un bambino subisce con vera sofferenza cambiamenti di cui non può capire l’opportunità: di colpo deve cominciare o tornare a dormire da solo e si rifiuta con pianti continui o altre modalità.
Pianti che portano a molte altre reazioni negative. Proviamo a riflettere su questi aspetti e a prevenire con buon senso e rispetto per il bambino, nuovo a tutto, per soluzioni con le quali i familiari insieme a lui possono trarre massimo vantaggio.
Se lo chiedono in molti modi tante mamme in ansia per le difficoltà di addormentamento e per i risvegli dei loro piccoli figli.
Che cosa si può rispondere? Anzitutto che il sonno di un bambino, ogni sera, ogni notte, è un evento delicato che non possiamo comandare a piacere.
È il cervello che lo guida a seconda di quanto gli accade quando è sveglio: è così per un piccolino come per un adulto.
Perché si dorme? Il sonno ci dà il giusto riposo dopo la fatica (i bambini che sono in continuo movimento, che agiscono, parlano e usano le cose, alla fine stanchi): fatica fisica e insieme mentale, cerebrale, ma su questa si è poco attenti, nella convinzione che un personaggio di pochi mesi o di pochi anni non sia un essere pensante.
Certo, non ragiona come noi, non è consapevole di ciò che fa, ma il suo cervello lavora, eccome! Ogni volta che sente qualcosa o entra in contatto con qualcuno, che ascolta o vede e afferra un oggetto, milioni delle sue cellule celebrali – i neuroni - si mettono in contatto tra loro per arricchire i processi mentali.
Mosso da un interesse istintivo per le cose e per le persone, costruisce a poco a poco concetti sempre più precisi. Guarda molto i genitori e sul loro modo di comportarsi e di parlare modella gesti e linguaggio. Ripete di continuo le sue semplici azioni per perfezionarsi; non sa di saper fare, ma è molto bravo a correggere errori e imperfezioni.
Anche qui gli adulti sbagliano quando sono convinti che, se non sono loro a dire ogni volta dove ha sbagliato, il bambino non sappia vederlo da sé.
Invece è l’esatto contrario e su questa incomprensione e sfiducia si innesta fin dai primi anni una dura lotta tra adulto e bambino, in famiglia come a scuola, anzi dal Nido.
Il continuo lavoro quotidiano - che ogni bambino dei primi due anni compie per mettere le basi alla propria esistenza - esige grande energia fisica e psichica ed è solo il sonno, una notte dopo l’altra, a rinnovarla di continuo.
Allora, se il fenomeno è del tutto naturale, perché si sentono da più parti tante grida d’allarme?
Il bambino che nella notte si sveglia e vuole mangiare, giocare, infilarsi nel letto dei genitori, muoversi a piacere nel lettone e così via, è in condizioni naturali o no?
Sono capricci suoi o sono stati gli adulti, per bloccare le sue proteste, a far nascere tali abitudini?
Chiediamoci dunque: com’è la sua vita di giorno?
Molti piccoli sono in perenne opposizione: non vogliono mangiare, non vogliono vestirsi né lavarsi, sono attaccati al ciuccio e passano ore e ore davanti alla televisione. Perfino l’I- pad sta diventando mezzo comune per “calmarli”. A poco a poco diventano autentici tiranni, urlanti, capaci di schiaffeggiare o di mordere anche il genitore.
Al momento del sonno o del pasto - situazioni legate ai bisogni primari – si mostrano ancor più incontrollabili a causa dell’incapacità dei familiari di essere fermi e al tempo saper dare la libertà, quando e come necessaria.
Oggi un piccolo quasi mai ha una vita regolata dal suo ritmo interno, è iper-stimolato: con la scusa del marsupio (ottimo, se usato con giudizio!), è portato ovunque fin dai primi giorni, nella luce e nel chiasso, perfino dove si mangia e si fuma; nei mesi seguenti passa per tante mani, prima di aver potuto costruire dentro di sé immagini interne e certe di una persona stabile che gli parla e ha cura di lui (o lei).
Il pianto è visto solo come capriccio o dispetto, mai letto come segno di bisogni insoddisfatti (nei momenti del cibo, quando il bambino tenta di fare cose da solo; quando non vuole andare a dormire e s’inventano mille cose per distrarlo, compreso quello di dargli da mangiare o di giocare nel lettone alle tre di notte). Si muove “troppo”? Ecco pronto l’ovetto, nel quale lo si può dondolare e portare qua e là.
Quando comincia a spostarsi, invece di permettergli di esplorare la casa a quattro gambe, lo si rinchiude nel girello, nel box (che lo spinge ad alzarsi prima del tempo), nel seggiolone, nella carrozzina, nel letto con le sbarre. Tutti mezzi di contenzione!
Anche lo svezzamento comincia in anticipo, addirittura al 3° - 4° mese per portarlo al Nido, quando è ancora molto forte l’esigenza di succhiare. (Chi alleva animali, sa le conseguenze di un distacco precoce dalla madre-nutrice: il cucciolo umano non corre rischi di sorta?).
Alla scuola d’infanzia spesso viene richiesto di non far dormire il bambino di pomeriggio perché, si dice, si addormenterà più facilmente la sera e non si sveglierà di notte. Viceversa questa è una grande illusione perché il sonno non possiamo metterlo dove piace a noi, ma deve essere la risposta a una buona vita durante il giorno, su misura del bambino.
Il sonno “cattivo” è il prodotto da una parte di ritmi forzati che vengono imposti sui bisogni degli adulti, dall’altra dalle risposte assurde che vengono date al bambino quando si sveglia di notte.
Ad esempio: piange, si accendono luci e televisione; per farlo riaddormentare si arriva a uscire in piena notte in auto perché ritrovi il sonno al ritmo della macchina, oppure lo si accontenta con un biberon di camomilla molto dolcificata con zucchero, glucosio o miele (cosa che produce altri danni) ….
Tutto è più semplice se fin dal principio si seguono ritmi regolari senza poi alterarli e si danno al bambino poche, semplici regole che non cambiano, il bambino si muove entro confini chiari che gli comunicano certezza e senso di stabilità.
C’è una sola risposta da dare al bambino inquieto, con gentilezza, ma in tono fermo: “Adesso si dorme!”. Non si danno distrazioni, ma gli si resta accanto, vigilando che stia fermo e che trovi il suo sonno, eventualmente nei periodi di maggior crisi e di malessere, anche fisico, mettendo una brandina accanto al suo lettino, tolte le sbarre.
La questione del lettone: bello dormire tutti e tre insieme, in principio!
(E’ già più difficile quando il neonato è un secondogenito e si è in quattro).
Molti genitori oggi mettono d’abitudine il bambino a dormire nel proprio letto: può essere un accorgimento positivo nei primi mesi di vita, ma non indispensabile se, in questo stesso periodo, il bambino dorme nella sua culla, posta accanto al letto materno. In tal modo la vicinanza tranquillizza entrambi, ma il bambino assimila il fatto di avere un proprio posto per dormire.
Nel caso invece la madre desideri tenere il bambino nel proprio letto, deve rendersi conto che, già verso il settimo/ottavo mese, il bambino diventa ben consapevole del posto che occupa nel lettone e sarà molto più difficile, a partire da quel tempo, che dorma volentieri da solo in un proprio letto.
Il bambino crescendo prende fra i genitori un posto sempre maggiore, sentendo il dormire in mezzo a loro un suo pieno diritto (e crescendo diventa, come alcune coppie lamentano, decisamente ingombrante, anche perché impedisce la vita di coppia (non meno necessaria all’equilibrio della piccola famiglia). D’altro canto non aiuta il bambino nello sviluppo delle sue prime indipendenze.
Come gli uccelli quando hanno messo le piume spingono i loro pulcini fuori dal nido o i mammiferi portano fuori dalla tana all’aperto i loro piccoli, così anche nella specie umana bisogna capire il momento opportuno per stabilire i reciproci spazi di vita.
È molta diversa la situazione tra un bambino nutrito esclusivamente con latte materno (meglio se almeno fino al 6°- 7° mese) e il bambino che, pochi mesi dopo, comincia a mangiare con il cucchiaio, bere da solo con un piccolo bicchiere, giocare con vivo interesse ad operare oggetti in vari modi, aprire e chiudere uno sportello, lanciare un oggetto e riprenderlo e così via. Forse ha già i primi dentini e sta seduto con sicurezza, altri segnali di nuove indipendenze acquisite: “Non sono più un piccolissimo” sembra dire ed è in questo periodo che dovrebbe addormentarsi nel proprio lettino.
Che gli riesca facilmente, è tutto merito dei suoi che hanno saputo condurre le cose adagio, secondo i suoi modi e i suoi tempi. Ogni passaggio, a questa età, non può che avvenire lentamente, sapendo che, se effettuato tardi, oltre l’8 o 9 mese, potrà presentare difficoltà e richiederà maggiore lentezza.
Molti bambini dormono con i genitori ben oltre i 3/ 4 anni per ragioni diverse, magari perché il padre lavora lontano, la madre prende il bambino con sé, ma quando il compagno ritorna… .Oppure il piccolo ha avuto una malattia di due o tre settimane, ha sofferto e per dargli maggiore protezione ha dormito con la mamma, ora sta bene e deve tornare nel suo lettino…
Un bambino subisce con vera sofferenza cambiamenti di cui non può capire l’opportunità: di colpo deve cominciare o tornare a dormire da solo e si rifiuta con pianti continui o altre modalità.
Pianti che portano a molte altre reazioni negative. Proviamo a riflettere su questi aspetti e a prevenire con buon senso e rispetto per il bambino, nuovo a tutto, per soluzioni con le quali i familiari insieme a lui possono trarre massimo vantaggio.