L’ESATTEZZA BASE DELL’EDUCAZIONE
La lettera che segue venne inviata da Maria Montessori a una delle sue allieve più intime, Giuliana Sorge, dopo un’operazione agli occhi che aveva dovuto affrontare in Olanda nell’autunno del 1950 (aveva dunque già ottant’anni). Le era costata difficoltà e prove penose, ma - come era nella sua natura non si lasciava abbattere a lungo e continuava a riflettere…
Cara Giuliana, dovendo esercitarmi a scrivere e non potendo scrivere libri, che abbia almeno il conforto di rivolgermi a un cuore amico, quasi illudendomi di parlare con qualcuno. Rimango qui inerte nel mio studio, mentre non c’è il sole nostro, ma sempre buio e pioggia. La mia compagnia è una radio che mi hanno regalato a Natale e che tengo sul tavolino. Non so ancora trovare una piena rassegnazione al fatale sbaglio commesso. Compro occhiali su occhiali, ma il fatto è questo: che posso usare un solo occhio, mentre l’altro disturba tanto che bisogna abolirlo.Non c’è rimedio a questo e passo da un occhio all’altro: uno meravigliosamente brillante che vede al di là della natura, ma in un punto solo. E allora devo orientarlo, come un telescopio che cerchi le stelle. L’altro buono usuale, col suo adattamento naturale può vedere indifferentemente tutto nell’ambiente.
Quell’uomo celebre perché non me l’ha detto? [Perché] non mi ha avvertito che sarei rimasta praticamente come prima, che si trattava di un’operazione grave che nessuno oggi fa più, mentre aspettando qualche mese, forse un anno, togliere la cataratta matura sarebbe stata un’operazione banale e comune che ogni oculista può fare facilmente?
Io avrei avuto ancora tempo per scrivere, per finire l’opera mia. Non c’è dubbio che il mio cervello, già esaurito per una fatica mentale e fisica, fu colpito in un modo che non posso più pensare e lavorare come prima. Provai acutamente il desiderio a riposarmi in qualche luogo allegro, col clima nostro, con qualche compagnia affettuosa e lì riprendere energia. Ma questa solitudine in una stanza da cui vedo altre case di faccia, dove le persone cui sono abituata non ci sono più… Mi è sembrato di essere abbandonata dal mondo, di sopportare una condanna, un castigo!
Ho avuto fame e sete di consolazione, di compagnia e di compianto. Dalla radio sentivo solo le notizie della guerra minacciante[1]. Anche Mario il giovane[2] col quale avrei avuto piacere di parlare di argomenti di psicologia, è lontano. Renilde non vive in casa ed è immersa negli studi per il prossimo esame, mi fa una visita ogni settimana. Marilena[3] è qui, ma sempre attorno ai bambini perché non mi disturbino: e si occupa della casa, del telefono, dell’ufficio, dell’AMI, della gente che viene a chiedere informazioni. La posta del mattino è l’aspettativa e la speranza, attesa come l’attende il soldato in trincea. Adesso ho dall’Italia l’abbonamento a qualche giornale che mi divaga un poco. Il prossimo passato in Italia mi dà un’acuta nostalgia. Aspettando con tranquilla rassegnazione mi esercito intanto a scrivere e poterlo fare ora così bene, come faccio con te, mi apre un po’ il cuore alla speranza. Andrà sempre meglio, sì, lo credo.
Intanto sto pensando a questa esperienza che mi ha rivelato tante cose. Mi ha illustrato certi punti del metodo. Sì, confrontando un occhio che non vede, con uno che vede. Così è con la mente. L’occhio che non vede, come il mio prima di essere mutilato, pure vedeva. Vedeva le forme, i colori, ma non vedeva i contorni, i dettagli. Uno scritto non poteva leggerlo, perché i dettagli delle lettere stampate erano come cose confuse: la scrittura era un’ombra. Ebbene, l’occhio che vedeva confusamente, era un occhio che non vedeva. Non vedeva i dettagli che delimitano esattamente tutte le cose.
Mancava l’esattezza della visione, non mancavano la luminosità e l’impressione delle cose.
Ora, il punto principale del nostro metodo è l’esattezza. Quando proponiamo di toccare esattamente i contorni di un incastro geometrico, quando seguiamo col dito i contorni di una lettera smerigliata o presentiamo come camminare sul filo, quando determiniamo il silenzio con l’esatto controllo di tutti i movimenti, noi facciamo ciò che fa l’occhio sano: rilevare i contorni esatti, la particolarità delle cose. Questo è importante. Allora, a un tratto, è come se la coscienza vedesse: così comincia a concentrarsi. Così si interessa e continua ad esercitarsi con interesse crescente, con passione. E la persona infantile sente gioia, sente la gioia di vedere con l’anima.
Prima, non vedeva. La mente era come un occhio ricoperto da una cataratta ancora immatura. Quel vedere a impressioni vaghe era il principio della cecità. Cosa grave. Noi diamo proprio la vista (la coscienza) all’anima; il vedere corrisponde a rilevare esattamente i dettagli. E’ così. E’ inutile discutere sull’esattezza come principio di educazione nei bambini; c’è un fatto chiaro: o vedere o non vedere. Quando gli occhi vedono, possono vedere tutto, liberamente. Non c’è bisogno della guida, come per il cieco. Viene la libertà. E tutto comincia a svolgersi con interesse.
Tutto, allora, può trattenere, insegnare, dare l’intima soddisfazione nel vivere, nell’assorbire il mondo. E’ così che noi diamo il primo aiuto alla vita dell’anima, un aiuto essenziale. Questo per me adesso è chiarissimo.
Si era dimenticato di dare ai bambini l’esattezza. Non si capiva l’importanza di questo dettaglio che è il centro di tutto. E’ di là che vengono la gioia, l’attività, la laboriosità, il perfezionamento, la libertà.
Difficile spiegarlo, ma il confronto con l’occhio che vede bene soltanto quando rileva i contorni dettagliati e non vede quando è colpito solo da luminosità e immagini confuse, dà un’idea immediatamente chiara. Non è per rendere le persone esatte nell’agire consueto, legate ai dettagli invece che all’insieme; è per rendere la mente capace di distinguere, senza di che si resta ciechi, si cresce ciechi. Quando si trascurano quei dettagli di esattezza (che dettero nel principio [del nostro lavoro] un così brillante successo), viene un decadimento nei risultati della nostra educazione, anche se grandi idee ne adornano la teoria.
Bisogna riprendere quel primitivo procedimento, come base per vedere,non come legame all’attività dei vedenti. Non è schiavitù, (come alcuni nostri critici dicono) assumere quei movimenti precisi, ma è anzi stabilire la possibilità di essere liberi. E’ una cura: infatti vediamo le anime normalizzarsi, e allora esse proseguono con sicurezza.
Ora dobbiamo considerare l’esattezza come via che porta alla concentrazione (attiva).
La ripetizione [spontanea] dell’esercizio è la forma della concentrazione penetrante: ci vuole un oggetto maneggevole per il bambino su cui esercitarla e l’oggetto determinato interessa certi “istinti costruttivi”. L’oggetto deve essere semplice e chiaro, e l’esercizio in sé breve, appunto perché si deve poter ripetere senza scopo da raggiungere esternamente, senza la preoccupazione di riuscire in una esecuzione determinata. E’ come uno stimolo che richiama un istinto.
La complicazione dell’atto, la preoccupazione di imparare, sarebbero ostacoli contro tale fenomeno concentrativo di ripetizione. Sapere eseguire esattamente un lavoro complesso non sarebbe la stessa cosa, perché avrebbe scopi esterni e ciò appunto impedirebbe la concentrazione.
L’anima infantile che “vede”: è essa che ha destato tante meraviglie!
Se daremo un Corso per maestre, insieme, insisteremo su questo.
Speriamo, Giuliana! Bisogna avere coraggio, e sentire che siamo strumenti per un’opera grande, chiara e sicura.
Mille saluti affettuosi tua Maria
[1] Si riferisce probabilmente alla guerra in Corea.
[2] E’ il nipote, secondo dei figli di Mario Montesano Montessori ( Mario Sr).
[3] Marilena e Renilde sono le due figlie di Mario Sr.
Cara Giuliana, dovendo esercitarmi a scrivere e non potendo scrivere libri, che abbia almeno il conforto di rivolgermi a un cuore amico, quasi illudendomi di parlare con qualcuno. Rimango qui inerte nel mio studio, mentre non c’è il sole nostro, ma sempre buio e pioggia. La mia compagnia è una radio che mi hanno regalato a Natale e che tengo sul tavolino. Non so ancora trovare una piena rassegnazione al fatale sbaglio commesso. Compro occhiali su occhiali, ma il fatto è questo: che posso usare un solo occhio, mentre l’altro disturba tanto che bisogna abolirlo.Non c’è rimedio a questo e passo da un occhio all’altro: uno meravigliosamente brillante che vede al di là della natura, ma in un punto solo. E allora devo orientarlo, come un telescopio che cerchi le stelle. L’altro buono usuale, col suo adattamento naturale può vedere indifferentemente tutto nell’ambiente.
Quell’uomo celebre perché non me l’ha detto? [Perché] non mi ha avvertito che sarei rimasta praticamente come prima, che si trattava di un’operazione grave che nessuno oggi fa più, mentre aspettando qualche mese, forse un anno, togliere la cataratta matura sarebbe stata un’operazione banale e comune che ogni oculista può fare facilmente?
Io avrei avuto ancora tempo per scrivere, per finire l’opera mia. Non c’è dubbio che il mio cervello, già esaurito per una fatica mentale e fisica, fu colpito in un modo che non posso più pensare e lavorare come prima. Provai acutamente il desiderio a riposarmi in qualche luogo allegro, col clima nostro, con qualche compagnia affettuosa e lì riprendere energia. Ma questa solitudine in una stanza da cui vedo altre case di faccia, dove le persone cui sono abituata non ci sono più… Mi è sembrato di essere abbandonata dal mondo, di sopportare una condanna, un castigo!
Ho avuto fame e sete di consolazione, di compagnia e di compianto. Dalla radio sentivo solo le notizie della guerra minacciante[1]. Anche Mario il giovane[2] col quale avrei avuto piacere di parlare di argomenti di psicologia, è lontano. Renilde non vive in casa ed è immersa negli studi per il prossimo esame, mi fa una visita ogni settimana. Marilena[3] è qui, ma sempre attorno ai bambini perché non mi disturbino: e si occupa della casa, del telefono, dell’ufficio, dell’AMI, della gente che viene a chiedere informazioni. La posta del mattino è l’aspettativa e la speranza, attesa come l’attende il soldato in trincea. Adesso ho dall’Italia l’abbonamento a qualche giornale che mi divaga un poco. Il prossimo passato in Italia mi dà un’acuta nostalgia. Aspettando con tranquilla rassegnazione mi esercito intanto a scrivere e poterlo fare ora così bene, come faccio con te, mi apre un po’ il cuore alla speranza. Andrà sempre meglio, sì, lo credo.
Intanto sto pensando a questa esperienza che mi ha rivelato tante cose. Mi ha illustrato certi punti del metodo. Sì, confrontando un occhio che non vede, con uno che vede. Così è con la mente. L’occhio che non vede, come il mio prima di essere mutilato, pure vedeva. Vedeva le forme, i colori, ma non vedeva i contorni, i dettagli. Uno scritto non poteva leggerlo, perché i dettagli delle lettere stampate erano come cose confuse: la scrittura era un’ombra. Ebbene, l’occhio che vedeva confusamente, era un occhio che non vedeva. Non vedeva i dettagli che delimitano esattamente tutte le cose.
Mancava l’esattezza della visione, non mancavano la luminosità e l’impressione delle cose.
Ora, il punto principale del nostro metodo è l’esattezza. Quando proponiamo di toccare esattamente i contorni di un incastro geometrico, quando seguiamo col dito i contorni di una lettera smerigliata o presentiamo come camminare sul filo, quando determiniamo il silenzio con l’esatto controllo di tutti i movimenti, noi facciamo ciò che fa l’occhio sano: rilevare i contorni esatti, la particolarità delle cose. Questo è importante. Allora, a un tratto, è come se la coscienza vedesse: così comincia a concentrarsi. Così si interessa e continua ad esercitarsi con interesse crescente, con passione. E la persona infantile sente gioia, sente la gioia di vedere con l’anima.
Prima, non vedeva. La mente era come un occhio ricoperto da una cataratta ancora immatura. Quel vedere a impressioni vaghe era il principio della cecità. Cosa grave. Noi diamo proprio la vista (la coscienza) all’anima; il vedere corrisponde a rilevare esattamente i dettagli. E’ così. E’ inutile discutere sull’esattezza come principio di educazione nei bambini; c’è un fatto chiaro: o vedere o non vedere. Quando gli occhi vedono, possono vedere tutto, liberamente. Non c’è bisogno della guida, come per il cieco. Viene la libertà. E tutto comincia a svolgersi con interesse.
Tutto, allora, può trattenere, insegnare, dare l’intima soddisfazione nel vivere, nell’assorbire il mondo. E’ così che noi diamo il primo aiuto alla vita dell’anima, un aiuto essenziale. Questo per me adesso è chiarissimo.
Si era dimenticato di dare ai bambini l’esattezza. Non si capiva l’importanza di questo dettaglio che è il centro di tutto. E’ di là che vengono la gioia, l’attività, la laboriosità, il perfezionamento, la libertà.
Difficile spiegarlo, ma il confronto con l’occhio che vede bene soltanto quando rileva i contorni dettagliati e non vede quando è colpito solo da luminosità e immagini confuse, dà un’idea immediatamente chiara. Non è per rendere le persone esatte nell’agire consueto, legate ai dettagli invece che all’insieme; è per rendere la mente capace di distinguere, senza di che si resta ciechi, si cresce ciechi. Quando si trascurano quei dettagli di esattezza (che dettero nel principio [del nostro lavoro] un così brillante successo), viene un decadimento nei risultati della nostra educazione, anche se grandi idee ne adornano la teoria.
Bisogna riprendere quel primitivo procedimento, come base per vedere,non come legame all’attività dei vedenti. Non è schiavitù, (come alcuni nostri critici dicono) assumere quei movimenti precisi, ma è anzi stabilire la possibilità di essere liberi. E’ una cura: infatti vediamo le anime normalizzarsi, e allora esse proseguono con sicurezza.
Ora dobbiamo considerare l’esattezza come via che porta alla concentrazione (attiva).
La ripetizione [spontanea] dell’esercizio è la forma della concentrazione penetrante: ci vuole un oggetto maneggevole per il bambino su cui esercitarla e l’oggetto determinato interessa certi “istinti costruttivi”. L’oggetto deve essere semplice e chiaro, e l’esercizio in sé breve, appunto perché si deve poter ripetere senza scopo da raggiungere esternamente, senza la preoccupazione di riuscire in una esecuzione determinata. E’ come uno stimolo che richiama un istinto.
La complicazione dell’atto, la preoccupazione di imparare, sarebbero ostacoli contro tale fenomeno concentrativo di ripetizione. Sapere eseguire esattamente un lavoro complesso non sarebbe la stessa cosa, perché avrebbe scopi esterni e ciò appunto impedirebbe la concentrazione.
L’anima infantile che “vede”: è essa che ha destato tante meraviglie!
Se daremo un Corso per maestre, insieme, insisteremo su questo.
Speriamo, Giuliana! Bisogna avere coraggio, e sentire che siamo strumenti per un’opera grande, chiara e sicura.
Mille saluti affettuosi tua Maria
[1] Si riferisce probabilmente alla guerra in Corea.
[2] E’ il nipote, secondo dei figli di Mario Montesano Montessori ( Mario Sr).
[3] Marilena e Renilde sono le due figlie di Mario Sr.