Ordine nel primo anno
Senza regolarità nei ritmi e nelle ricorrenti cure quotidiane, senza una disposizione accurata degli oggetti in modo che lui o lei possano ritrovarli con gli occhi e con le mani, i bambini non crescono equilibrati, non costruiscono un proprio ordine interno, così necessario nella vita quotidiana anche da adulti.
Nel primo anno a questo aspetto sono molto sensibili: sembrano impauriti dall'instabilità e cercano la ripetitività che a noi adulti dà tanto fastidio.
Il periodo sensitivo dell'ordine, via via che un bambino cresce, non si rivela soltanto nelle reazioni ai cambiamenti improvvisi rispetto a cose viste o udite, ma in modo più preciso nei confronti di alterazioni nelle abitudini: tramite i sensi ricorda ogni successione di azioni. Ad esempio i cambi hanno per lui o lei una sequenza prevedibile e rassicurante, purché eseguiti in maniera consueta, da una stessa persona o due al massimo. In qualche misura riconosce l'1 (la madre) dal 2 (il padre al quale rispondono in modo diverso), dal 3 (la nonna? l'educatrice?) e, a poco a poco, i tanti altri.
La regolarità aiuta il bambino a sviluppare ritmi interni di sonno, cibo, veglia; se riceve attenzione a ciò che accade al suo corpo durante le cure, potrà riconoscere "invasioni" estranee e protestare più facilmente di un bambino "manipolato" da vari adulti, frettolosi o disattenti. (Mobile sopra il tavolo di infascio, specchio attaccato al soffitto, musica e simili sono occasioni di distrazioni durante i cambi: meglio che sia la madre – nel Nido la sua educatrice – a parlargli o a cantargli mentre lo cambia).
Se è allattato in situazioni di calma, non distratto (disturbato) da rumori, voci, comincia a esercitare l'originaria capacità di concentrarsi; ha bisogno per questo di fare una cosa alla volta, (abitudine che noi adulti abbiamo perso: per questo ci costa fatica ripetere, tutto il contrario dei più piccoli che sulla ripetizione di azioni fondano le loro capacità motorie e cognitive).
Ora è tutto concentrato sul succhiare e su quella parte di madre che meglio conosce e che gli assicura il massimo conforto. Altrettanto riceve dal rivivere giorno per giorno ciò che gli accade: lo tranquillizza il fatto che cose note e aspettate si realizzino.
Anche quando gli si dà mangiare, conviene evitare stimoli estranei alla situazione, usati per imboccare il piccolo che rifiuta il cibo come pupazzi, cartoni animati, cambi di posizione e altri trucchi del genere. Meglio cercare di capire perché non vuole mangiare e perfino saltare ogni tanto un pasto piuttosto che ingaggiare una simile lotta, basata sul peggiore dei rimedi: la distrazione.
Tali scelte, decise, ferme ma sempre comunicate in modo affettuoso non impediscono il dialogo spontaneo tra madre e bambino con carezze e contatti, importanti nel corso delle cure per la loro ripetitività. Il piccolo realizza che il proprio piacere è anche quello della madre, ne assorbe i modi e i suoni verbali (che nutrono anche il linguaggio) e ne avverte la prevedibilità.
Quando il bambino cresce e comincia a essere attivo nell'ambiente potrebbe essere necessario dire qualche No. Gli adulti oggi hanno paura della disciplina, nel timore di sopraffare in qualche modo l'individualità del figlio, ma è paura infondata (sempre che non imposta con la violenza). Il bambino ha bisogno di essere contenuto, non solo in quello che di positivo fa, ma anche per conoscere alcuni limiti base, dati in modo affettuoso e insieme serio. Attraverso le percezioni sensoriali di cui dispone, il bambino avverte subito la differenza tra i Sì e i No.
Spesso è più facile dire: "Fa come ti pare", ma è risposta che genera confusione. Il bambino non sa, non progetta, non può fare previsioni in astratto, né valutare i pericoli in cui si mette, anche se l'ambiente intorno a lui è sicuro, ricco di interessi.
È comunque l'adulto che ne stabilisce i confini d'uso. Il bambino non ha alcuna idea di ciò che ci aspettiamo da lui, il suo DNA non lo prepara a questo. Se fa qualcosa di rischioso, cerchiamo di capire le sue intenzioni e offriamogli un oggetto simile, non pericoloso in sostituzione a quello vietato, ad esempio: "Il forno non si apre mai." Compreso il suo interesse ad aprire e chiudere, gli si potrà mettere a disposizione altra apertura: uno sportello o una scatola simile. Il piccolo impara e accetta facilmente il divieto netto se dato con voce rassicurante e non con urli: i genitori (ed educatrici) che sanno dire No, non usano modi brutali o punitivi, ma il tono tranquillo di chi intende aiutare la vita del bambino: "Questo non si fa," "questo non puoi prenderlo," ma ti dò quest'altro," "quello non si apre, puoi aprire questo armadietto" e così via."
Quando va al Nido, il bambino si trova fra tanti, in una situazione totalmente diversa da quella familiare in cui è da solo con la madre (eventuali fratelli sono più grandi), ma il suo bisogno di base non cambia: ritrovare nelle cure corporee l'incontro privilegiato con un adulto che non cambia e che ha conosciuto a piccole dosi alla presenza e in collaborazione con sua madre. È il tempo dell'ambientamento.
Nel primo anno a questo aspetto sono molto sensibili: sembrano impauriti dall'instabilità e cercano la ripetitività che a noi adulti dà tanto fastidio.
Il periodo sensitivo dell'ordine, via via che un bambino cresce, non si rivela soltanto nelle reazioni ai cambiamenti improvvisi rispetto a cose viste o udite, ma in modo più preciso nei confronti di alterazioni nelle abitudini: tramite i sensi ricorda ogni successione di azioni. Ad esempio i cambi hanno per lui o lei una sequenza prevedibile e rassicurante, purché eseguiti in maniera consueta, da una stessa persona o due al massimo. In qualche misura riconosce l'1 (la madre) dal 2 (il padre al quale rispondono in modo diverso), dal 3 (la nonna? l'educatrice?) e, a poco a poco, i tanti altri.
La regolarità aiuta il bambino a sviluppare ritmi interni di sonno, cibo, veglia; se riceve attenzione a ciò che accade al suo corpo durante le cure, potrà riconoscere "invasioni" estranee e protestare più facilmente di un bambino "manipolato" da vari adulti, frettolosi o disattenti. (Mobile sopra il tavolo di infascio, specchio attaccato al soffitto, musica e simili sono occasioni di distrazioni durante i cambi: meglio che sia la madre – nel Nido la sua educatrice – a parlargli o a cantargli mentre lo cambia).
Se è allattato in situazioni di calma, non distratto (disturbato) da rumori, voci, comincia a esercitare l'originaria capacità di concentrarsi; ha bisogno per questo di fare una cosa alla volta, (abitudine che noi adulti abbiamo perso: per questo ci costa fatica ripetere, tutto il contrario dei più piccoli che sulla ripetizione di azioni fondano le loro capacità motorie e cognitive).
Ora è tutto concentrato sul succhiare e su quella parte di madre che meglio conosce e che gli assicura il massimo conforto. Altrettanto riceve dal rivivere giorno per giorno ciò che gli accade: lo tranquillizza il fatto che cose note e aspettate si realizzino.
Anche quando gli si dà mangiare, conviene evitare stimoli estranei alla situazione, usati per imboccare il piccolo che rifiuta il cibo come pupazzi, cartoni animati, cambi di posizione e altri trucchi del genere. Meglio cercare di capire perché non vuole mangiare e perfino saltare ogni tanto un pasto piuttosto che ingaggiare una simile lotta, basata sul peggiore dei rimedi: la distrazione.
Tali scelte, decise, ferme ma sempre comunicate in modo affettuoso non impediscono il dialogo spontaneo tra madre e bambino con carezze e contatti, importanti nel corso delle cure per la loro ripetitività. Il piccolo realizza che il proprio piacere è anche quello della madre, ne assorbe i modi e i suoni verbali (che nutrono anche il linguaggio) e ne avverte la prevedibilità.
Quando il bambino cresce e comincia a essere attivo nell'ambiente potrebbe essere necessario dire qualche No. Gli adulti oggi hanno paura della disciplina, nel timore di sopraffare in qualche modo l'individualità del figlio, ma è paura infondata (sempre che non imposta con la violenza). Il bambino ha bisogno di essere contenuto, non solo in quello che di positivo fa, ma anche per conoscere alcuni limiti base, dati in modo affettuoso e insieme serio. Attraverso le percezioni sensoriali di cui dispone, il bambino avverte subito la differenza tra i Sì e i No.
Spesso è più facile dire: "Fa come ti pare", ma è risposta che genera confusione. Il bambino non sa, non progetta, non può fare previsioni in astratto, né valutare i pericoli in cui si mette, anche se l'ambiente intorno a lui è sicuro, ricco di interessi.
È comunque l'adulto che ne stabilisce i confini d'uso. Il bambino non ha alcuna idea di ciò che ci aspettiamo da lui, il suo DNA non lo prepara a questo. Se fa qualcosa di rischioso, cerchiamo di capire le sue intenzioni e offriamogli un oggetto simile, non pericoloso in sostituzione a quello vietato, ad esempio: "Il forno non si apre mai." Compreso il suo interesse ad aprire e chiudere, gli si potrà mettere a disposizione altra apertura: uno sportello o una scatola simile. Il piccolo impara e accetta facilmente il divieto netto se dato con voce rassicurante e non con urli: i genitori (ed educatrici) che sanno dire No, non usano modi brutali o punitivi, ma il tono tranquillo di chi intende aiutare la vita del bambino: "Questo non si fa," "questo non puoi prenderlo," ma ti dò quest'altro," "quello non si apre, puoi aprire questo armadietto" e così via."
Quando va al Nido, il bambino si trova fra tanti, in una situazione totalmente diversa da quella familiare in cui è da solo con la madre (eventuali fratelli sono più grandi), ma il suo bisogno di base non cambia: ritrovare nelle cure corporee l'incontro privilegiato con un adulto che non cambia e che ha conosciuto a piccole dosi alla presenza e in collaborazione con sua madre. È il tempo dell'ambientamento.
Per un Nido secondo il progetto Montessori (Prima parte)
L'organizzazione del Nido
Dovrebbe rispondere al principio vitale: Aiutami a fare da solo e accompagnare il bambino nel suo desiderio di essere attivo a modo suo, secondo i suoi interessi e le sue capacità.
Un bambino tra i primi mesi e i tre anni è attratto da tanti oggetti – forme, colori, grandezze, mobilità, contrasti, memorie di casa.
I suoi sensi sono molto vigili, le sue mani vogliono prendere e far cadere, afferrare e mettere in bocca, tentare e riprovare senza stancarsi, provare la stessa azione con oggetti diversi.È l'ABC del lavoro umano.
Intanto, ogni volta, è attento e concentrato da non sapere più che cosa gli accade intorno.
Ssssssss! ... Non disturbiamolo, il genio è al lavoro!
Aiutiamolo – indirettamente, con rare parole e sorrisi incoraggianti – mettendogli a disposizione, se ancora non cammina un tappeto e poi uno sgabello largo e basso (20 cm) su cui appoggiarsi e lavorare in ginocchio. Quando ormai cammina sicuro, ancora il tappeto, ma quando gli piacerà stare seduto “come i grandi” un tavolino, alto il doppio, con sedia proporzionata (sedile alto da terra quanto misura dal retro del ginocchio alla pianta del piede).
Dovrebbe rispondere al principio vitale: Aiutami a fare da solo e accompagnare il bambino nel suo desiderio di essere attivo a modo suo, secondo i suoi interessi e le sue capacità.
Un bambino tra i primi mesi e i tre anni è attratto da tanti oggetti – forme, colori, grandezze, mobilità, contrasti, memorie di casa.
I suoi sensi sono molto vigili, le sue mani vogliono prendere e far cadere, afferrare e mettere in bocca, tentare e riprovare senza stancarsi, provare la stessa azione con oggetti diversi.È l'ABC del lavoro umano.
Intanto, ogni volta, è attento e concentrato da non sapere più che cosa gli accade intorno.
Ssssssss! ... Non disturbiamolo, il genio è al lavoro!
Aiutiamolo – indirettamente, con rare parole e sorrisi incoraggianti – mettendogli a disposizione, se ancora non cammina un tappeto e poi uno sgabello largo e basso (20 cm) su cui appoggiarsi e lavorare in ginocchio. Quando ormai cammina sicuro, ancora il tappeto, ma quando gli piacerà stare seduto “come i grandi” un tavolino, alto il doppio, con sedia proporzionata (sedile alto da terra quanto misura dal retro del ginocchio alla pianta del piede).
seconda parte - Dormire e avere cura di sé
Anche il lettino dovrebbe essere basso.
Se ne abbiamo qualcuno inutilizzato, alto e con le sbarre, possiamo toglierne una, ridurre l'altezza delle gambe a circa 20 cm o poco più e farne un divanetto per leggere o per giocare.
In bagno
abbiamo messo, non più una sfilata di w.c., ma due o tre tazze, alte da terra intorno ai 25 cm, fatte come quelle degli adulti e non col grande foro nero centrale, un invito – per i piccoli di questa età – a buttarci dentro cose, intasando e rovinando.
Lavandini e rubinetti
Difficile far capire a tanti adulti che anche questi devono essere a misura di bambino: è una forma di rispetto per le loro capacità.
Se proprio fossero alti come da scuola infantile e troppo costoso abbassarli, si può costruire un lunga pedana di legno, magari a listelli in modo che se cade acqua, i bambini non rischino di scivolare.
Meglio non mettere più di tre lavandini, come le tazze, per non avere… la tentazione di condurvi i piccoli in gruppo, invece di aiutarli a una crescente indipendenza che possono raggiungere già prima del compimento dei tre anni.
Ogni lavandino deve avere lo specchio,il posto per il sapone, il gancio per un piccolo asciugamano. La temperatura dell'acqua deve essere regolata a monte in modo che non esca mai bollente.
Se ne abbiamo qualcuno inutilizzato, alto e con le sbarre, possiamo toglierne una, ridurre l'altezza delle gambe a circa 20 cm o poco più e farne un divanetto per leggere o per giocare.
In bagno
abbiamo messo, non più una sfilata di w.c., ma due o tre tazze, alte da terra intorno ai 25 cm, fatte come quelle degli adulti e non col grande foro nero centrale, un invito – per i piccoli di questa età – a buttarci dentro cose, intasando e rovinando.
Lavandini e rubinetti
Difficile far capire a tanti adulti che anche questi devono essere a misura di bambino: è una forma di rispetto per le loro capacità.
Se proprio fossero alti come da scuola infantile e troppo costoso abbassarli, si può costruire un lunga pedana di legno, magari a listelli in modo che se cade acqua, i bambini non rischino di scivolare.
Meglio non mettere più di tre lavandini, come le tazze, per non avere… la tentazione di condurvi i piccoli in gruppo, invece di aiutarli a una crescente indipendenza che possono raggiungere già prima del compimento dei tre anni.
Ogni lavandino deve avere lo specchio,il posto per il sapone, il gancio per un piccolo asciugamano. La temperatura dell'acqua deve essere regolata a monte in modo che non esca mai bollente.
Terza Parte- Dove si mangia?
In un grande Nido da 40 – 60 bambini ci sarà di sicuro una stanza apposita, ma non per questo andranno a mangiare tutti insieme.
Intanto c'è da prevedere uno spazio per lo spuntino del mattino, forse – e sopratutto per i più piccoli – all'interno dell'ambiente previsto per il piccolo gruppo.
Lo stesso deve essere per il pranzo, provvedendo anche all'acquisto di piccoli carrelli, robusti e ben manovrabili dai bambini stessi per l'apparecchiatura, la sparecchiatura e per trasportare cibi non pesanti, né rischiosi. Questi verranno portati in loco – con grande carrello – dal personale di cucina.
Anche nel pasto con vari gruppi l'atmosfera deve restare molto tranquilla: le educatrici sono sedute ai tavoli con i piccoli e non alzano mai. Avranno vicino un tavolino o un carrellino come supporto per oggetti vari. Sarà presente altra persona, pronta ad aiutare dove necessario.
In generale gli adulti non devono alzare la voce, né incitare, né chiamare da lontano. Essenziale rispettare i tempi lunghi dei bambini, di solito circa 45 minuti, tempi che si riducono nei piccoli gruppi che mangiano separatamente.
Per i bambini più piccoli che sono da imboccare è da prevedere un'organizzazione separata e forse non contemporanea a quella dei più grandi, in quanto richiedono on principio il rapporto uno a uno come a casa, che diventerà di gruppo quando mangiano da soli con discreta sicurezza e possono mangiare al tavolo con qualche bambino già abile e indipendente.
Intanto c'è da prevedere uno spazio per lo spuntino del mattino, forse – e sopratutto per i più piccoli – all'interno dell'ambiente previsto per il piccolo gruppo.
Lo stesso deve essere per il pranzo, provvedendo anche all'acquisto di piccoli carrelli, robusti e ben manovrabili dai bambini stessi per l'apparecchiatura, la sparecchiatura e per trasportare cibi non pesanti, né rischiosi. Questi verranno portati in loco – con grande carrello – dal personale di cucina.
Anche nel pasto con vari gruppi l'atmosfera deve restare molto tranquilla: le educatrici sono sedute ai tavoli con i piccoli e non alzano mai. Avranno vicino un tavolino o un carrellino come supporto per oggetti vari. Sarà presente altra persona, pronta ad aiutare dove necessario.
In generale gli adulti non devono alzare la voce, né incitare, né chiamare da lontano. Essenziale rispettare i tempi lunghi dei bambini, di solito circa 45 minuti, tempi che si riducono nei piccoli gruppi che mangiano separatamente.
Per i bambini più piccoli che sono da imboccare è da prevedere un'organizzazione separata e forse non contemporanea a quella dei più grandi, in quanto richiedono on principio il rapporto uno a uno come a casa, che diventerà di gruppo quando mangiano da soli con discreta sicurezza e possono mangiare al tavolo con qualche bambino già abile e indipendente.
Quarta parte: Come nasce il senso di sicurezza
Avete notato con ogni bambino protesti a cambiamenti improvvisi.
L'espressione di timore quando sulla soglia della stanza appare uno sconosciuto?
Quando l'educatrice ha un vestito diverso o porta gli occhiali che prima non aveva?
Quando all'uscita viene un familiare quando di solito è la madre?
Quando un oggetto usuale, grande o piccolo, viene spostato?
E perché è così arduo cambiare alimento o modo di essere portato?
Potremmo citare innumerevoli esempi da racconti dei Nidi o delle famiglie: il bisogno di stabilità e di continuità nelle impressioni sensoriali è, fin dai primi giorni di vita fin verso i quattro anni, così forse ed esteso che non può trattarsi di comportamento “capriccioso”, tanto per irritare e “disobbedire”.
Anche noi adulti, quando cambiamo lavoro o facciamo un viaggio in un paese mai visto prima, abbiamo bisogno di punti fermi per orientarci, riconoscere, sentirci tranquilli, elementi che via via impariamo a sentire come familiari e non pericolosi, come in principio ci apparivano, solo perché ignoti.
Lo stesso fenomeno è presente nei piccoli, nuovi a tutti. Montessori lo ha chiamato sensibilità all'ordine, all'orientamento – tattile, olfattivo, visivo, uditivo, gustativo – su cui un neonato, il bambino dei primi mesi e dei primi anni assorbono dentro di sé i particolari dell'ambiente, i suoni, le forme, il viso materno e il suono della sua voce, i ritmi della giornata.
Per il benessere dei bambini è essenziale ridurre al minimo i cambiamenti improvvisi. Di qui un lento ambientamento quando entrano in una collettività o vengono affidati a una singola persona, quando è necessario un trasloco o un viaggio, quando arrivano persone nuove,sia pure un familiare molto gradito.
Ci sono molti modi per attenuare, per passare gradualmente a nuovi contatti. Anche la parola è molto importante se il genitore parla con il bambino, gli annuncia il momento della poppata o della pappa, dell'uscita, del bagno o del ritorno del papà.
La parola, come lieve filo conduttore della giornata, potrà essere di sostegno nelle situazioni di cambiamento.
L'espressione di timore quando sulla soglia della stanza appare uno sconosciuto?
Quando l'educatrice ha un vestito diverso o porta gli occhiali che prima non aveva?
Quando all'uscita viene un familiare quando di solito è la madre?
Quando un oggetto usuale, grande o piccolo, viene spostato?
E perché è così arduo cambiare alimento o modo di essere portato?
Potremmo citare innumerevoli esempi da racconti dei Nidi o delle famiglie: il bisogno di stabilità e di continuità nelle impressioni sensoriali è, fin dai primi giorni di vita fin verso i quattro anni, così forse ed esteso che non può trattarsi di comportamento “capriccioso”, tanto per irritare e “disobbedire”.
Anche noi adulti, quando cambiamo lavoro o facciamo un viaggio in un paese mai visto prima, abbiamo bisogno di punti fermi per orientarci, riconoscere, sentirci tranquilli, elementi che via via impariamo a sentire come familiari e non pericolosi, come in principio ci apparivano, solo perché ignoti.
Lo stesso fenomeno è presente nei piccoli, nuovi a tutti. Montessori lo ha chiamato sensibilità all'ordine, all'orientamento – tattile, olfattivo, visivo, uditivo, gustativo – su cui un neonato, il bambino dei primi mesi e dei primi anni assorbono dentro di sé i particolari dell'ambiente, i suoni, le forme, il viso materno e il suono della sua voce, i ritmi della giornata.
Per il benessere dei bambini è essenziale ridurre al minimo i cambiamenti improvvisi. Di qui un lento ambientamento quando entrano in una collettività o vengono affidati a una singola persona, quando è necessario un trasloco o un viaggio, quando arrivano persone nuove,sia pure un familiare molto gradito.
Ci sono molti modi per attenuare, per passare gradualmente a nuovi contatti. Anche la parola è molto importante se il genitore parla con il bambino, gli annuncia il momento della poppata o della pappa, dell'uscita, del bagno o del ritorno del papà.
La parola, come lieve filo conduttore della giornata, potrà essere di sostegno nelle situazioni di cambiamento.
PROMEMORIA per un BUON SONNO nel nostro MICRO-NIDO
Il procedimento è attuato a piccole fasi, possibilmente individuali, alla fine dell'ambientamento.
Proposta da “Percorsi per Crescere”, Varese.
- Lo spazio con i lettini è separato dal resto della stanza con alcuni scaffali bassi, contenenti giochi che però sono dal lato opposto.
- I lettini sono bassi e senza sponde in modo che ogni bambino possa entrarvi e uscirne secondo i propri tempi. (E' possibile che anche in altri momenti ci sia qualcuno che va a stendersi e si addormenti).
- Non si invitano i bambini a parole, con richiami o sollecitazioni.
- Dopo il pranzo e le attività in bagno, si tirano le tende per avere una lieve penombra: è un primo tacito segnale.
- Si trasmette una breve melodia, sempre la stessa o si suona uno speciale carillon, non accessibile in altri momenti: è un secondo segnale.(Meglio ancora, può essere una ninna-nanna, cantata o suonata al flauto dall'educatrice).
- L'educatrice di riferimento accompagna i bambini nello spazio previsto, si siede su una sedia bassa, si muove con calma se qualcuno ha bisogno di aiuto. Si rivolge a ciascuno di loro, parlando a voce bassa.
- Tutto avviene nella massima calma: i bambini si tolgono scarpe e calze, le mettono con cura nella cassettina personale (all'esterno porta il nome, che i piccoli riconoscono come un disegno).
- In una cesta ci sono peluches o pupazzi portati da casa: chi vuole può andare a prendere il proprio e portarlo con sé a letto.
- L’educatrice rimbocca a ciascuno le coperte con poche parole affettuose di saluto. Poi si siede e resta sul luogo in modo che i bambini la vedano e si sentano sicuri per abbandonarsi al sonno.
- Quando i piccoli sono addormentati, l'educatrice può svolgere sul posto un'attività tranquilla di suo gradimento.
- e un bambino non desidera dormire, va con i compagni nella stanza; se poi non si addormenta, si alza e va a giocare in modo non rumoroso nell’altra parte della stanza.
- Il risveglio è individuale: ci si alza senza disturbare i compagni addormentati. ( Anche questo è frutto di un apprendimento graduale).
- In un grande Nido si può seguire la stessa modalità a piccoli gruppi, ciascuno con la propria educatrice di riferimento: è solo una questione organizzativa.
Proposta da “Percorsi per Crescere”, Varese.
Perché una persona di riferimento?
Molti anni addietro, quando cominciai a lavorare nella “Scuoletta” di Palazzo Taverna a Roma sotto la guida di Adele Costa Gnocchi1, verificai ben presto il bisogno di stabilità manifestato dai bambini di cui mi occupavo, dai tredici mesi ai due anni e mezzo. Avevo sistemato una scansia in un certo angolo con alcuni oggetti per loro, ma mi accorsi ben presto che non avevo fatto una scelta opportuna. Così un venerdì, usciti i bambini, le cambiai posto. Non avevo però fatto i conti con loro: lunedì, quando rientrarono, in due si fermarono sulla porta perplessi e uno disse: “Chi ha messo tutto in “disoddine”?“. Subito dopo mi chiese di aiutarlo a riportare la scansia dove era prima. Lo accontentai perché avevo percepito il forte disagio – non solo suo - di fronte al cambiamento inaspettato. Avrei dovuto pensarci prima!
Cambiare, migliorare con uno spostamento sono azioni ragionevoli in un adulto, inaccettabili per un bambino, soprattutto nei primi due, tre anni. Ricordo una bimbetta di 20 mesi, abituata tutte le sere a fare con la sua “tata” il bagno in una piccola vasca, messa dentro la vasca degli adulti protestò - e come! - la sera in cui il papà volle farle lui il bagno, addirittura nella vasca grande. Cominciò a chiedere la sua vaschetta e quando fu il papà a spogliarla per metterla nell’acqua furono pianti e grida. “La mia “tata”, la mia “tata”!“. Eppure le piaceva molto stare con suo padre, che in precedenza più volte l’aveva spogliata per metterla a letto. Mistero? Capriccio? No, evidentemente per lei fare il bagno con piacere comportava ritrovare ogni sera quella situazione, quell’insieme di sensazioni che per il solo fatto di riviverle, le comunicavano sicurezza, protezione, benessere. Il cambiamento improvviso era avvertito come una minaccia, a quell’età non esprimibile a parole.
Già gli anni trascorsi nel lavoro con i neonati avevano confermato nel Centro Nascita Montessori di cui facevo parte il bisogno estremo di stabilità. Le reazioni di disagio, di pianto a una nuova luce, a un gesto insolito nell’essere trasportati, a una posizione rovesciata ad esempio nel bagno, non erano dovute alla solita colichetta, ma per noi, educatrici, allenate a cogliere anche reazioni minime, esprimevano la sofferenza per ogni interruzione nella continuità. Proprio questa “lettura” confermava le osservazioni di Maria Montessori rispetto a quello che lei aveva chiamato “periodo sensitivo dell’ordine”. Qualcosa di profondo, biologico e psicologico insieme. sembra spingere il bambino a chiedere: ”Per orientarmi in questo mondo così vasto e complesso, ho bisogno di continuità; posso accettare il nuovo se mi viene dato in piccole dosi, mantenendo ben salde le cose che conosco”.
“Si abituano male così” sosteneva un medico considerato all’avanguardia . “Bisogna anzi cambiare molto spesso per allenarli per tempo al fluttuare della vita”. Per fortuna le madri erano in genere istintivamente troppo sagge per dargli ascolto, ma chi lo faceva senza darsene pensiero (un trasloco e subito dopo affidare il bambino ad altri o metterlo in un nido, passaggi frequenti di persona, viaggi…) si ritrovava rapidamente con molti problemi di cibo, di sonno, di comportamento. Il bambino che morde, che piange di frequente, che non si ferma su nulla, erano - e sono - comportamenti attribuiti a tutto fuorché a un disagio profondo..
Eppure basterebbe un minimo di attenzione delicata; oltretutto non è per sempre. Periodo, abbiamo detto. Sì, perché questa sensibilità al cambiamento a poco a poco diminuisce la propria forza fino a scomparire e, al contrario di quello che si pensa, averla rispettata nei primi tre anni predispone con maggiore facilità ai cambiamenti che inevitabilmente seguiranno.
Entro in un Nido dove per fortuna si dà molto credito all’esigenza per ogni bambino di abituarsi gradatamente al nuovo che comporta una collettività e osservo:
“ Deve (o può) abituarsi a tutte le persone del Nido”, qualcuno sostiene. Può, ma con i suoi tempi e quanto al “deve” il bambino non sceglie di andare al Nido; siamo dunque noi adulti, educatori e genitori insieme, che abbiamo il dovere di assicurargli il massimo di benessere per proteggere la sua delicata salute mentale.
Se percepisce come minacciosi lo spostamento di un mobile, un vestitino di colore insolito o il sapore di una nuova pappa, figurarsi aver a che fare con un adulto che non conosce, che ha odore, timbro di voce, sguardo, tocco di mani, così diversi dalle persone che sono il centro della sua vita, un’estranea che lo prende in braccio, giusto per separarlo da loro.
Per molti anni, anche dopo che nel ’71 erano stati aperti quasi ovunque i Nidi, nessuno - seguendo la tradizione ONMI - ha posto attenzione a questo delicatissimo passaggio. I pianti prolungati, strazianti, ripetuti ogni mattina, sembravano un male inevitabile. Bambini capricciosi, si diceva. Ricordo il Nido Olivetti a Ivrea che visitai nei primi anni Sessanta – peraltro bene organizzato, con attività di gioco molto curate - dove i genitori (come ovunque del resto, essendo prevalente la preoccupazione sanitaria) non potevano entrare: i bambini venivano passati alle educatrici attraverso una finestrina e di là cambiati completamente dei vestiti di casa. “Tanto prima o poi si abituano e poi dimenticano!” mi venne detto quando espressi le mie forti perplessità. Il fatto che i piccoli potessero soffrire per modalità - inaccettabili per un adulto - non veniva minimamente preso in considerazione.
Nella “Scuoletta” romana cui ho accennato agli inizi, una delle rare istituzioni che fin dagli anni Cinquanta accogliessero bambini così piccoli, continuavamo nell’attenzione minuziosa alle loro reazioni, indifferenti al fatto che la maggior parte delle persone ci considerasse un po’ matti o quanto meno esagerati. Poi verso la metà degli anni Settanta incontrammo Elinor Goldschmied che nei Nidi aveva cominciato a seminare dubbi circa l’abitudine diffusa di vedere il bambino solo come un corpo che cresce. Con saggezza - e sempre nel rispetto delle educatrici – insegnava a rendere vivibile il momento del pranzo con soluzioni semplici quanto razionali; proponeva splendide situazioni di gioco per i più piccini appena fossero in grado di stare seduti da soli o per quelli appena in grado di stare in piedi sicuri: il cestino dei tesori e il gioco euristico restituivano a tali bambini il piacere di agire, di sperimentare, di conoscere a modo proprio e con i tempi propri.
Grandi risposte dunque contro la sciatteria degli adulti e la noia dei bambini. Altra sua indicazione ,non meno rivoluzionaria, fu quella a favore di una persona di riferimento stabile sia nel periodo iniziale di accoglienza sia dopo nei momenti di cura: cambio, pranzo, sonno, aspetto questo che sarebbe stato poi ulteriormente rafforzato dall’incontro con l’esperienza di Loczy.
Si sa che il bambino, una volta rassicurato e se l’ambiente è favorevole, si avvicina senza difficoltà ad altri adulti come ai coetanei: base essenziale per la sua salute mentale non è essere spinto ad adattarsi in modo sbrigativo, ma sentirsi contenuto nell’attenzione affettuosa e costante di qualcuno, ritrovando stabilmente quello sguardo amico, quelle mani, rassicuranti perché noti.
Che poi in certe situazioni tale proposta venga respinta perché considerata causa di attaccamento esagerato (I “miei” bambini o “Non posso uscire dalla stanza senza che mi vengano dietro”…oppure ” Vuole stare sempre in braccio a me”), è dovuto al modo con cui l’educatrice attua i rapporti con i bambini a lei affidati – se li “aggancia” a sé e li rende dipendenti, non nel fatto di essere per loro un referente stabile. Allo stesso modo ho sentito denigrare il cestino dei tesori come inutile (in realtà ridotto a un cesto-spazzatura dove si butta qualsiasi cosa anche mal ridotta) o non interessante (sempre gli stessi oggetti e per di più messi in mano ai piccoli o presi dai più grandicelli, impedendo quindi la loro scelta e il rispetto dell’attività) o perfino pericoloso e quindi ridotto a una sciocca raccolta di pelouche e di oggetti in gomma o plastica, per nulla interessanti da esplorare con la bocca.
Lo stesso si può dire del gioco euristico, irrigidito in modalità di distribuzione per gruppi di oggetti eguali per tutti, da usare entro tempi obbligati. Niente di più lontano dalle indicazioni di Elinor. D’altro canto non c’è innovatore sagace che non si scontri nel tempo con la degenerazione delle sue proposte.
Ma torniamo a parlare della persona di riferimento: anche questa idea – guida di Elinor, forte e rassicurante per bambini e genitori, è ed è stata fortemente osteggiata con i pretesti più diversi da educatrici, psicologhe, amministratori.
Se osserviamo con attenzione i più piccoli per scoprire i tanti segnali del “periodo sensitivo dell’ordine” [o dell’orientamento, come mi piace anche chiamarlo], ci sarà più facile accogliere l’idea di una figura stabile soprattutto nel periodo iniziale di conoscenza reciproca, che conosca a fondo i ritmi e le minime richieste dei bambini a lei affidati.
Come ha scritto Myriam David, la madre ha cura del bambino perché lo ama, l’educatrice ama il bambino perché ne ha cura.
Il problema che ci pone una tale scelta di base è solo di natura organizzativa e ad esso deve rispondere tutto il gruppo di lavoro con riflessioni che partendo dei bisogni primari dei bambini, tengano presenti anche quelli degli adulti.
Grazia Honegger Fresco
1 A.Costa Gnocchi (1893-1967), allieva di Montessori dal 1909, ha svolto ampie esperienze con bambini e ragazzi di varia età e ha fondato a Roma dopo la seconda guerra mondiale la Scuola Assistenti all’infanzia Montessori e il Centro Nascita Montessori .Vedi Radici nel futuro/ la vita di Adele Costa Gnocchi La Meridiana, Molfetta (Ba) 2001
Cambiare, migliorare con uno spostamento sono azioni ragionevoli in un adulto, inaccettabili per un bambino, soprattutto nei primi due, tre anni. Ricordo una bimbetta di 20 mesi, abituata tutte le sere a fare con la sua “tata” il bagno in una piccola vasca, messa dentro la vasca degli adulti protestò - e come! - la sera in cui il papà volle farle lui il bagno, addirittura nella vasca grande. Cominciò a chiedere la sua vaschetta e quando fu il papà a spogliarla per metterla nell’acqua furono pianti e grida. “La mia “tata”, la mia “tata”!“. Eppure le piaceva molto stare con suo padre, che in precedenza più volte l’aveva spogliata per metterla a letto. Mistero? Capriccio? No, evidentemente per lei fare il bagno con piacere comportava ritrovare ogni sera quella situazione, quell’insieme di sensazioni che per il solo fatto di riviverle, le comunicavano sicurezza, protezione, benessere. Il cambiamento improvviso era avvertito come una minaccia, a quell’età non esprimibile a parole.
Già gli anni trascorsi nel lavoro con i neonati avevano confermato nel Centro Nascita Montessori di cui facevo parte il bisogno estremo di stabilità. Le reazioni di disagio, di pianto a una nuova luce, a un gesto insolito nell’essere trasportati, a una posizione rovesciata ad esempio nel bagno, non erano dovute alla solita colichetta, ma per noi, educatrici, allenate a cogliere anche reazioni minime, esprimevano la sofferenza per ogni interruzione nella continuità. Proprio questa “lettura” confermava le osservazioni di Maria Montessori rispetto a quello che lei aveva chiamato “periodo sensitivo dell’ordine”. Qualcosa di profondo, biologico e psicologico insieme. sembra spingere il bambino a chiedere: ”Per orientarmi in questo mondo così vasto e complesso, ho bisogno di continuità; posso accettare il nuovo se mi viene dato in piccole dosi, mantenendo ben salde le cose che conosco”.
“Si abituano male così” sosteneva un medico considerato all’avanguardia . “Bisogna anzi cambiare molto spesso per allenarli per tempo al fluttuare della vita”. Per fortuna le madri erano in genere istintivamente troppo sagge per dargli ascolto, ma chi lo faceva senza darsene pensiero (un trasloco e subito dopo affidare il bambino ad altri o metterlo in un nido, passaggi frequenti di persona, viaggi…) si ritrovava rapidamente con molti problemi di cibo, di sonno, di comportamento. Il bambino che morde, che piange di frequente, che non si ferma su nulla, erano - e sono - comportamenti attribuiti a tutto fuorché a un disagio profondo..
Eppure basterebbe un minimo di attenzione delicata; oltretutto non è per sempre. Periodo, abbiamo detto. Sì, perché questa sensibilità al cambiamento a poco a poco diminuisce la propria forza fino a scomparire e, al contrario di quello che si pensa, averla rispettata nei primi tre anni predispone con maggiore facilità ai cambiamenti che inevitabilmente seguiranno.
Entro in un Nido dove per fortuna si dà molto credito all’esigenza per ogni bambino di abituarsi gradatamente al nuovo che comporta una collettività e osservo:
- Marco, 18 mesi, che ha quasi sempre il ciuccio in bocca e toglie di frequente i giochi agli altri. I suoi genitori, abitando in altra cittadina dove non ci sono Nidi, lo hanno affidato a una zia che lo tiene dal lunedì al venerdì e lo porta tutti i giorni al Nido locale. Sabato e domenica Marco torna a casa, lunedì di nuovo dalla zia, come un pacchetto o un lavorante a giornata.
- Rosy, 24 mesi, in alternanza al ciuccio, morde: i suoi si sono trasferiti sul posto da poche settimane, hanno un neonato di tre mesi e si sono affrettati a iscrivere la maggiore al Nido, con forti resistenze materne a seguire un graduale ambientamento della figlia in un luogo così nuovo.
“ Deve (o può) abituarsi a tutte le persone del Nido”, qualcuno sostiene. Può, ma con i suoi tempi e quanto al “deve” il bambino non sceglie di andare al Nido; siamo dunque noi adulti, educatori e genitori insieme, che abbiamo il dovere di assicurargli il massimo di benessere per proteggere la sua delicata salute mentale.
Se percepisce come minacciosi lo spostamento di un mobile, un vestitino di colore insolito o il sapore di una nuova pappa, figurarsi aver a che fare con un adulto che non conosce, che ha odore, timbro di voce, sguardo, tocco di mani, così diversi dalle persone che sono il centro della sua vita, un’estranea che lo prende in braccio, giusto per separarlo da loro.
Per molti anni, anche dopo che nel ’71 erano stati aperti quasi ovunque i Nidi, nessuno - seguendo la tradizione ONMI - ha posto attenzione a questo delicatissimo passaggio. I pianti prolungati, strazianti, ripetuti ogni mattina, sembravano un male inevitabile. Bambini capricciosi, si diceva. Ricordo il Nido Olivetti a Ivrea che visitai nei primi anni Sessanta – peraltro bene organizzato, con attività di gioco molto curate - dove i genitori (come ovunque del resto, essendo prevalente la preoccupazione sanitaria) non potevano entrare: i bambini venivano passati alle educatrici attraverso una finestrina e di là cambiati completamente dei vestiti di casa. “Tanto prima o poi si abituano e poi dimenticano!” mi venne detto quando espressi le mie forti perplessità. Il fatto che i piccoli potessero soffrire per modalità - inaccettabili per un adulto - non veniva minimamente preso in considerazione.
Nella “Scuoletta” romana cui ho accennato agli inizi, una delle rare istituzioni che fin dagli anni Cinquanta accogliessero bambini così piccoli, continuavamo nell’attenzione minuziosa alle loro reazioni, indifferenti al fatto che la maggior parte delle persone ci considerasse un po’ matti o quanto meno esagerati. Poi verso la metà degli anni Settanta incontrammo Elinor Goldschmied che nei Nidi aveva cominciato a seminare dubbi circa l’abitudine diffusa di vedere il bambino solo come un corpo che cresce. Con saggezza - e sempre nel rispetto delle educatrici – insegnava a rendere vivibile il momento del pranzo con soluzioni semplici quanto razionali; proponeva splendide situazioni di gioco per i più piccini appena fossero in grado di stare seduti da soli o per quelli appena in grado di stare in piedi sicuri: il cestino dei tesori e il gioco euristico restituivano a tali bambini il piacere di agire, di sperimentare, di conoscere a modo proprio e con i tempi propri.
Grandi risposte dunque contro la sciatteria degli adulti e la noia dei bambini. Altra sua indicazione ,non meno rivoluzionaria, fu quella a favore di una persona di riferimento stabile sia nel periodo iniziale di accoglienza sia dopo nei momenti di cura: cambio, pranzo, sonno, aspetto questo che sarebbe stato poi ulteriormente rafforzato dall’incontro con l’esperienza di Loczy.
Si sa che il bambino, una volta rassicurato e se l’ambiente è favorevole, si avvicina senza difficoltà ad altri adulti come ai coetanei: base essenziale per la sua salute mentale non è essere spinto ad adattarsi in modo sbrigativo, ma sentirsi contenuto nell’attenzione affettuosa e costante di qualcuno, ritrovando stabilmente quello sguardo amico, quelle mani, rassicuranti perché noti.
Che poi in certe situazioni tale proposta venga respinta perché considerata causa di attaccamento esagerato (I “miei” bambini o “Non posso uscire dalla stanza senza che mi vengano dietro”…oppure ” Vuole stare sempre in braccio a me”), è dovuto al modo con cui l’educatrice attua i rapporti con i bambini a lei affidati – se li “aggancia” a sé e li rende dipendenti, non nel fatto di essere per loro un referente stabile. Allo stesso modo ho sentito denigrare il cestino dei tesori come inutile (in realtà ridotto a un cesto-spazzatura dove si butta qualsiasi cosa anche mal ridotta) o non interessante (sempre gli stessi oggetti e per di più messi in mano ai piccoli o presi dai più grandicelli, impedendo quindi la loro scelta e il rispetto dell’attività) o perfino pericoloso e quindi ridotto a una sciocca raccolta di pelouche e di oggetti in gomma o plastica, per nulla interessanti da esplorare con la bocca.
Lo stesso si può dire del gioco euristico, irrigidito in modalità di distribuzione per gruppi di oggetti eguali per tutti, da usare entro tempi obbligati. Niente di più lontano dalle indicazioni di Elinor. D’altro canto non c’è innovatore sagace che non si scontri nel tempo con la degenerazione delle sue proposte.
Ma torniamo a parlare della persona di riferimento: anche questa idea – guida di Elinor, forte e rassicurante per bambini e genitori, è ed è stata fortemente osteggiata con i pretesti più diversi da educatrici, psicologhe, amministratori.
Se osserviamo con attenzione i più piccoli per scoprire i tanti segnali del “periodo sensitivo dell’ordine” [o dell’orientamento, come mi piace anche chiamarlo], ci sarà più facile accogliere l’idea di una figura stabile soprattutto nel periodo iniziale di conoscenza reciproca, che conosca a fondo i ritmi e le minime richieste dei bambini a lei affidati.
Come ha scritto Myriam David, la madre ha cura del bambino perché lo ama, l’educatrice ama il bambino perché ne ha cura.
Il problema che ci pone una tale scelta di base è solo di natura organizzativa e ad esso deve rispondere tutto il gruppo di lavoro con riflessioni che partendo dei bisogni primari dei bambini, tengano presenti anche quelli degli adulti.
- il numero dei bambini da seguire ( a norma di legge)
- come garantire la stabilità di presenza nel periodo iniziale di frequenza e soprattutto per i bambini del I e II anno
- come garantire tale stabilità nei momenti di cura (è evidente che chi lavora a tempo parziale difficilmente potrà seguire con continuità i bambini, né avere con continuità rapporti con i loro genitori).
Grazia Honegger Fresco
1 A.Costa Gnocchi (1893-1967), allieva di Montessori dal 1909, ha svolto ampie esperienze con bambini e ragazzi di varia età e ha fondato a Roma dopo la seconda guerra mondiale la Scuola Assistenti all’infanzia Montessori e il Centro Nascita Montessori .Vedi Radici nel futuro/ la vita di Adele Costa Gnocchi La Meridiana, Molfetta (Ba) 2001
una bambina al lavoro
Michela , 23 mesi ha trovato una grossa scatola rettangolare di cartone con coperchio. E’ riuscita ad aprirla dopo vari tentativi : dentro c’era un barattolo da caffè con una decina di mollette da panni e un cestinetto vuoto.
Ecco la sequenza esplorativa che mette in atto dalle 16 alle 16,40, accuratamente registrata da un adulto che non è mai intervenuto nella sua attività:
Ecco la sequenza esplorativa che mette in atto dalle 16 alle 16,40, accuratamente registrata da un adulto che non è mai intervenuto nella sua attività:
- Apre e chiude la scatola più volte
- Tira fuori il barattolo e lo rovescia a terra.
- Richiude la scatola avendo girato più volte il coperchio per sovrapporlo nel modo corretto.
- Riapre la scatola e rovescia il coperchio.
- Allinea alcune mollette sul cartone.
- Tenta di chiudere la scatola con le mollette: queste cadono in parte all’interno.
- Rimette il coperchio a terra e allinea di nuovo le mollette, aggiungendone altre tre.
- Rovescia il coperchio e rimette le mollette, una accanto all’altra.
- Le prende a mucchio in due volte e le mette fuori del coperchio, sparse.
- Ora mette le mollette, una in coda all’altra, in lunga fila.
- Vede due mollette che sono finite poco lontano e le aggiunge alle altre.
- Prende il barattolo e a più riprese vi mette dentro tutte le mollette.
- Rovescia e ripete l’azione per quattro volte.
- Spalanca le dita della destra e con la sinistra fa cadere le mollette a una a una attraverso gli spazi tra le dita
- Rimette alcune mollette nel barattolo e lo scuote.
- Lo rovescia e ripete l’azione per tre volte.
- Mette il barattolo vuoto, rovesciato, sul coperchio di cartone e lo smuove sopra, senza sollevarlo.
- Sul coperchio c’è ora una molletta: ci mette sopra il barattolo rovesciato e di nuovo lo sposta, senza sollevarlo.
- Solleva il barattolo, ci guarda dentro, ripete l’azione, con il barattolo sopra alla molletta.
- Sembra essere in ascolto del rumore prodotto dal movimento e dalla molletta che è nascosta dal barattolo: di nuovo lo solleva e vi guarda dentro.
- Getta alcune mollette nella scatola e la muove, stando seduta, spingendola e tirandola con energia: di nuovo il rumore l’attira?
- Vuota la scatola e ripete la stessa azione.
- Rimette dentro una manciata di mollette e di nuovo scuote la scatola.
- Vi sovrappone il coperchio. Se ne va. Non ha mai chiesto aiuto.