DIRSI ADDIO: QUANTA PENA!
Paolo ha
perso il suo amico del cuore, partito con la famiglia per una città molto
lontana. Per ritrovarlo bisognerebbe attraversare mezza Europa e questo sarà
possibile solo una volta l’anno durante l’estate, forse.
E’ dura da
accettare a sei anni d’età. “ Come faccio senza Massimiliano?!” dice spesso e
continua a chiedere: “Ma perché il suo papà non poteva lavorare qui come fai
tu?”. “Te l’ho già spiegato..”: “Lo so, ma io non l’ho capito bene, dimmelo
ancora”.
Anna Rita ha perso lo zio preferito: mattacchione, sempre allegro, sapeva inventare storie fantastiche e fare scherzi a tutti. Ogni giorno passava a salutarla: gli piaceva trascorrere del tempo con lei. “Quando torna? Perché se n’è andato? Mi ha detto che mi avrebbe portato sulle gondole…E’ andato via senza dirmi niente”. Sua madre le ha spiegato che ha avuto un incidente molto grave, ma a quattro anni queste sono solo parole astratte, che non dicono nulla. Il sentimento doloroso è la mancanza di lui, cui si accompagnano gli occhi lucidi e le risposte evasive delle persone di casa.
Anita, tre anni, ha perso i suoi compagni dell’asilo-nido e l’amata maestra, ha perso i giochi e le stanze di quel luogo in cui è andata per due anni così volentieri ed è approdata alla scuola infantile dove le maestre – dice lei – sgridano i bambini che camminano e che non vogliono disegnare. “E poi non c’è nemmeno la cuoca!”.
La diversità la fa stare male e fa lievitare in lei un’acuta nostalgia di affetti, di giochi, di sapori. Non sa darsi pace che neanche sia con lei nella nuova scuola…
Di fronte ai sentimenti dei bambini troppo spesso diciamo: “Su, su non è niente! Ti abituerai! Inutile fare piagnistei! Smettila, tanto non c’è rimedio..”. Siamo superficiali, persino spietati a volte. Non abbiamo riguardo per sofferenze grandi e confuse, incomprensibili per un bambino che non è ancora in grado di capire la complessa realtà in cui viviamo. Non neghiamo il suo dolore, non chiudiamoci alle sue domande con la scusa di volerlo preservare da un ipotetico “choc”. Le mezze verità, le risposte dure, i silenzi aggravano la situazione.
E’ anche vero che spesso gli adulti si sentono disarmati: “E adesso che cosa gli dico?”
Un linguaggio “indiretto” è spesso il migliore. Un esempio ci viene da un bellissimo libro, pubblicato quest’anno da Jaca Book : Il viaggio sul fiume, scritto da Armin Beuscher e illustrato magistralmente da Cornelia Haas. Racconta la storia di Leprotto che si separa con dolore da Orsetto; questi rimasto solo va in cerca di amici per partecipare loro il suo rimpianto. Cominciano a viaggiare insieme ricordando Leprotto: la loro amicizia si rinsalda e l’amico assente è vivo in mezzo a loro.
Il racconto affronta il tema della separazione senza dirne la causa, in modo sfumato, più attraverso le immagini delicatissime, a colori intensi. Una storia consolante: non una concatenazione razionale di eventi, ma l’espressione dei sentimenti che tutti noi proviamo davanti a una perdita con grande rispetto per il dolore piccolo o grande che si prova, per la nostalgia, l’incolmabile lontananza. Quando lo si presenta al bambino , non si commetta l’errore di “fare la predica” (“Vedi come Orsetto è coraggioso, lui ha perso Leprotto come tu hai perso il nonno, quindi…”).
No, lasciamo che il libro stesso, la vicenda, le figure, o i vari personaggi parlino al bambino.
Anna Rita ha perso lo zio preferito: mattacchione, sempre allegro, sapeva inventare storie fantastiche e fare scherzi a tutti. Ogni giorno passava a salutarla: gli piaceva trascorrere del tempo con lei. “Quando torna? Perché se n’è andato? Mi ha detto che mi avrebbe portato sulle gondole…E’ andato via senza dirmi niente”. Sua madre le ha spiegato che ha avuto un incidente molto grave, ma a quattro anni queste sono solo parole astratte, che non dicono nulla. Il sentimento doloroso è la mancanza di lui, cui si accompagnano gli occhi lucidi e le risposte evasive delle persone di casa.
Anita, tre anni, ha perso i suoi compagni dell’asilo-nido e l’amata maestra, ha perso i giochi e le stanze di quel luogo in cui è andata per due anni così volentieri ed è approdata alla scuola infantile dove le maestre – dice lei – sgridano i bambini che camminano e che non vogliono disegnare. “E poi non c’è nemmeno la cuoca!”.
La diversità la fa stare male e fa lievitare in lei un’acuta nostalgia di affetti, di giochi, di sapori. Non sa darsi pace che neanche sia con lei nella nuova scuola…
Di fronte ai sentimenti dei bambini troppo spesso diciamo: “Su, su non è niente! Ti abituerai! Inutile fare piagnistei! Smettila, tanto non c’è rimedio..”. Siamo superficiali, persino spietati a volte. Non abbiamo riguardo per sofferenze grandi e confuse, incomprensibili per un bambino che non è ancora in grado di capire la complessa realtà in cui viviamo. Non neghiamo il suo dolore, non chiudiamoci alle sue domande con la scusa di volerlo preservare da un ipotetico “choc”. Le mezze verità, le risposte dure, i silenzi aggravano la situazione.
E’ anche vero che spesso gli adulti si sentono disarmati: “E adesso che cosa gli dico?”
Un linguaggio “indiretto” è spesso il migliore. Un esempio ci viene da un bellissimo libro, pubblicato quest’anno da Jaca Book : Il viaggio sul fiume, scritto da Armin Beuscher e illustrato magistralmente da Cornelia Haas. Racconta la storia di Leprotto che si separa con dolore da Orsetto; questi rimasto solo va in cerca di amici per partecipare loro il suo rimpianto. Cominciano a viaggiare insieme ricordando Leprotto: la loro amicizia si rinsalda e l’amico assente è vivo in mezzo a loro.
Il racconto affronta il tema della separazione senza dirne la causa, in modo sfumato, più attraverso le immagini delicatissime, a colori intensi. Una storia consolante: non una concatenazione razionale di eventi, ma l’espressione dei sentimenti che tutti noi proviamo davanti a una perdita con grande rispetto per il dolore piccolo o grande che si prova, per la nostalgia, l’incolmabile lontananza. Quando lo si presenta al bambino , non si commetta l’errore di “fare la predica” (“Vedi come Orsetto è coraggioso, lui ha perso Leprotto come tu hai perso il nonno, quindi…”).
No, lasciamo che il libro stesso, la vicenda, le figure, o i vari personaggi parlino al bambino.