“Giocano al dottore” : dobbiamo preoccuparci?
Quanta curiosità intorno al sesso, oggetto proibito per eccellenza ai piccoli, reso affascinante per la sua aura peccaminosa, per l’imbarazzo sempre evidente degli adulti. Eppure oggi gli atti dell’incontro amoroso sono sotto gli occhi di tutti grazie alla televisione e molti bambini sono precocemente quanto malamente informati, se in casa di ciò che vedono non possono chiedere spiegazioni o se, alle loro domande, avvertono sorrisetti e compiacimento sulla faccia degli adulti. Nella fretta di diventare grandi i ragazzini bruciano le tappe: in anticipo cercano rapporti sessuali non per esigenza fisiologica, ma per curiosità. (E’ dell’ottobre scorso la notizia della prostituta chiamata Biancaneve, “specializzata” in tredicenni e poco oltre, nonché malata di AIDS! I genitori - erano al corrente? – si sono spaventati per la malattia; non altrettanto, a quanto sembra, per esperienze così precoci. Forse , sotto sotto , ne sono lusingati?).
Altro segnale di anticipazione diffusa è il fatto che oggi nel mondo occidentale è diventato piuttosto comune l’anticipo del mestruo già ai nove – dieci anni. Quanto ai più piccoli, chi lavora nei Nidi e nelle scuole infantili osserva, rispetto a venti anni fa, curiosità non meno precoci e linguaggio disinvolto come gli adulti, fenomeni che sarebbe interessante indagare e capire. Quello che un tempo si osservava a sei, sette anni, attualmente si manifesta a tre, quattro.
Bambini che in casa vedono gli adulti nudi senza che ci sia in corrispondenza protezione affettiva e dialogo, spesso manifestano forme di aggressività verso i loro compagni, non sanno bene se essere maschi o femmine, trafficano nei gabinetti cercando di spogliare qualcuno, di esibirsi o di intasare le tazze gettandovi oggetti di gioco, carta o indumenti.
Spesso dietro questi comportamenti ci sono divieti, noia, atteggiamenti rabbiosi da parte degli adulti, interdizioni severe rispetto al cosiddetto “gioco del dottore”: ci si preoccupa tanto di questo,ma poi si è quanto mai distratti su altro. E’ davvero così pericoloso?
Sappiamo bene che, nelle forme più diverse, è esperienza comune alla maggior parte di noi, come testimonia ad esempio Gisella di 45 anni:
Con le mie sorelle spesso ci nascondevamo sotto il grande letto matrimoniale, portavamo i nostri giochi, ci toglievamo le mutandine e ci guardavamo come eravamo fatte. Elisa la maggiore decideva chi doveva farlo per prima. Alla fine ci si faceva a turno l’iniezione che consisteva nel premere il manico di legno di una paletta – la ricordo ancora nitidamente - contro l’ombelico. Poi ci rivestivamo e facevamo altri giochi: era come un rituale. Elisa aveva sei anni, io quattro e Annetta due. Non so se in casa se ne siano mai accorti.
I bambini hanno bisogno di investigare su come funziona il mondo, capire le differenze: grandi e piccoli, vecchio e giovane, maschi e femmine… Cercano conferme alla propria identità come al sentirsi “uguali” e il “gioco del dottore” può essere in questo tranquillizzante: una “verifica” non filtrata dagli adulti, ma diretta.
Una bimbetta di quattro anni appariva turbata dal fatto che il cuginetto appena nato avesse quella “codina col sacchetto” – secondo le sue parole – e lei no. Continuava a fare domande, aveva ripreso a bagnare il letto di notte e voleva spogliare il neonato quando era attaccato al seno. Genitori e zii seppero accogliere con delicatezza il suo malessere, non la sgridarono, non la presero in giro. La mamma le disse anche che è bello avere una vagina e che quando fosse cresciuta avrebbe avuto le mammelle come lei o la zia. Insomma, la si aiutò a piccole dosi ad accettare la sua femminilità, anche in modi indiretti come la cura dei capelli o gli apprezzamenti al suo aspetto. (Particolarmente graditi quelli paterni).Alla fine parve pacificata.
Spesso noi adulti guardiamo alle reazioni e alle curiosità dei bambini secondo la nostra interpretazione, la nostra storia, le nostre paure. Finiamo per immaginare nei loro giochi e discorsi motivazioni che in realtà non hanno né possono avere. Il “gioco del dottore” non è un gioco sessuale come l’adulto lo immagina, ma essenzialmente un bisogno di soddisfare una curiosità. Viceversa bambini che fanno realmente cose “da adulti”, ripetono probabilmente azioni viste o intraviste e quindi vissute con preoccupazione, per il solo fatto di non essere consuete e quindi poco comprensibili ai loro occhi.
A impressioni che avvertono come minacciose reagiscono come possono, in primo luogo con il gioco. Sgridare le bambole e metterle in castigo può essere un modo di acquietare ansie relative alla vita in collettività; distruggere con un sasso le macchinine può risalire alla rabbia accumulata contro il papà o un altro adulto.
Quando avevo sei o sette anni andavo sempre con i cuginetti a casa della nonna in campagna. Ricordo bene come ci piacesse nasconderci nel fienile a rotolarci, a cadere, a nascondersi, ma anche a guardarci l’un l’altro, tra maschi e femmine. Era un gioco innocente: solo curiosità. Una volta il nonno venne a cercarci: “Ah , siete qui. State giocando al dottore? Bene, bene, quando avete finito, venite a mangiare il gelato che ho preparato”. Lo ricordo con tenerezza e penso che l’aria svagata e del tutto naturale del nonno tolse alla faccenda la sua aria di mistero, perché dopo quella volta lo facemmo ancora una volta o due, ma poi non ci venne più in mente.
Il gioco è il giardino segreto di un bambino: non dobbiamo invaderlo in alcun modo né appropriarcene. In una casa, in un asilo nido o una scuola ci dovrebbe essere un luogo riservato, dove i bambini possano ogni tanto sottrarsi agli occhi degli grandi. L’adulto responsabile osserverà con occhio discreto e pur sempre vigile, ma senza intrusioni gratuite. Se ci fosse nel gruppo qualche bambino particolarmente aggressivo anche in senso sessuale, senza colpevolizzarlo bisognerà ovviamente seguirlo da vicino, contenerlo, occuparlo in modo diverso, cercando al tempo stesso di capire il peso dei suoi problemi.
Ricordo ancora molto bene quello che mi capitò quando avevo sei anni. Abitava con noi una studentessa (non so perché, non ho mai potuto parlare con i miei dell’accaduto); ogni tanto veniva a trovarla il fratellino che aveva un anno meno di me. Giocavamo bene insieme, ci inventavamo belle storie avventurose. Sul terrazzo c’era uno spazio un po’ nascosto che era il nostro fortino. Una volta ci venne in mente di spogliarci e di guardarci. Quando il mio amichetto se ne andò, mia madre mi chiese che gioco avessimo fatto ed io candida: ”Ci siamo levati i vestiti e le mutande”. Apriti cielo! Urli a non finire: mi prese di furia, mi fece un bagno, strofinandomi con violenza come se fossi sporca e successivamente mi chiuse a chiave nella mia stanza per più giorni. La ragazza venne immediatamente mandata via e io non ho mai più rivisto il mio piccolo amico.
La lezione mi servì: imparai a dire bugie ai genitori e continuai a fare le mie esplorazioni, ovviamente di nascosto. Non posso però dire che da adulta le mie esperienze sessuali siano state libere e felici.
Quando il gioco può diventare pericoloso?
Quando i bambini adoperano oggetti. Bisogna spiegare loro che guardarsi, fare il bagno insieme, stare nudi sono cose belle, ma con gli oggetti bisogna stare attenti: ci si può fare molto male, così come non si deve toccare con un bastone o altro ancora la faccia di qualcuno. Il corpo dell’altro deve essere rispettato: è questo il concetto che, senza drammatizzare, deve giungere chiaro al bambino.
Per lo stesso motivo non bisogna mai restare indifferenti e tanto meno incoraggiare esplorazioni tra bambini non coetanei. Una ragazzina o un maschietto di undici anni e un bimbetto (o bimbetta) di tre non sono affatto in condizioni di parità sul piano della consapevolezza e della forza. Quindi non è il caso di lasciar correre e bisogna dire con molta chiarezza – pur senza aggressività – che quel gioco non è permesso in alcun modo. In ogni caso azioni del genere sono da cogliere come campanelli d’allarme: osservare, capire, aiutare, proteggere sono indispensabili perché una curiosità appena innocente non si trasformi in abuso. Essenziale non colpevolizzare, perché servirebbe solo ad aggravare il problema.
Quando i genitori, gli educatori hanno sufficiente tranquillità rispetto alle proprie pulsioni sessuali, sono anche in grado di parlare con tutta calma e disinvoltura ai bambini. Ad esempio sul nome da dare alle parti genitali (sono proprio necessari i nomignoli? (Un bimbetto di cinque anni mi ha detto una volta: ”Che stupidi chiamare pisello un cosino lungo che non è nemmeno verde. Io lo chiamo “penino” perché è più piccolo di quello del mio papà “), sul rispondere alle loro domande: “Perché i papà dormono con le mamme?”, “Perché le donne hanno le mammelle?”, “Come fa a entrare il bambino nella pancia?”, “Io posso avere un bambino?”, “Perché la mamma di Tilli è andata all’ospedale a prendere il bambino nuovo?” e così via.
Nel dialogo si dipanano per gradi vari concetti sui quali vale la pena di tornare più volte: ad esempio conoscere il nome di tutte le parti del corpo e quindi poter parlare con eguale tranquillità della lingua o degli occhi come del pene o dei testicoli: E’ una buona strada per sapere che ci sono parti intime e delicate che un altro non può toccare. Questo vale per le natiche, per la schiena, come per la vagina o per il naso.
Il corpo dell’altro è in certo senso sacro, privato: nessuno può toccarlo se non ne riceve il consenso. Il bambino deve sapere con sicurezza che cosa è solo suo, non accessibile ad altri. Gli adulti a lui vicini si devono comportare di conseguenza: se non vuole essere baciato o non apprezza il solletico, lasciamolo in pace. Questa “barriera” molto netta lo aiuterà a capire se qualcuno tenta di sedurlo toccandolo.
C’è chi – davanti alla disarmante innocenza di un piccolino - comincia con un dono, un dolce o solo un sorriso, ma se il bambino sa che l’altro non ha alcun diritto su di lui, riuscirà meglio a respingerlo o per lo meno a parlarne con tranquillità alle persone di cui si fida. L’abitudine allo scambio aperto protegge i bambini molto più che l’essere angosciati dalla paura dello sconosciuto, dalle proibizioni, dalle prediche, tutti mezzi – come tanti dolorosi eventi insegnano – che servono davvero molto poco.
Barbara Fores
Altro segnale di anticipazione diffusa è il fatto che oggi nel mondo occidentale è diventato piuttosto comune l’anticipo del mestruo già ai nove – dieci anni. Quanto ai più piccoli, chi lavora nei Nidi e nelle scuole infantili osserva, rispetto a venti anni fa, curiosità non meno precoci e linguaggio disinvolto come gli adulti, fenomeni che sarebbe interessante indagare e capire. Quello che un tempo si osservava a sei, sette anni, attualmente si manifesta a tre, quattro.
Bambini che in casa vedono gli adulti nudi senza che ci sia in corrispondenza protezione affettiva e dialogo, spesso manifestano forme di aggressività verso i loro compagni, non sanno bene se essere maschi o femmine, trafficano nei gabinetti cercando di spogliare qualcuno, di esibirsi o di intasare le tazze gettandovi oggetti di gioco, carta o indumenti.
Spesso dietro questi comportamenti ci sono divieti, noia, atteggiamenti rabbiosi da parte degli adulti, interdizioni severe rispetto al cosiddetto “gioco del dottore”: ci si preoccupa tanto di questo,ma poi si è quanto mai distratti su altro. E’ davvero così pericoloso?
Sappiamo bene che, nelle forme più diverse, è esperienza comune alla maggior parte di noi, come testimonia ad esempio Gisella di 45 anni:
Con le mie sorelle spesso ci nascondevamo sotto il grande letto matrimoniale, portavamo i nostri giochi, ci toglievamo le mutandine e ci guardavamo come eravamo fatte. Elisa la maggiore decideva chi doveva farlo per prima. Alla fine ci si faceva a turno l’iniezione che consisteva nel premere il manico di legno di una paletta – la ricordo ancora nitidamente - contro l’ombelico. Poi ci rivestivamo e facevamo altri giochi: era come un rituale. Elisa aveva sei anni, io quattro e Annetta due. Non so se in casa se ne siano mai accorti.
I bambini hanno bisogno di investigare su come funziona il mondo, capire le differenze: grandi e piccoli, vecchio e giovane, maschi e femmine… Cercano conferme alla propria identità come al sentirsi “uguali” e il “gioco del dottore” può essere in questo tranquillizzante: una “verifica” non filtrata dagli adulti, ma diretta.
Una bimbetta di quattro anni appariva turbata dal fatto che il cuginetto appena nato avesse quella “codina col sacchetto” – secondo le sue parole – e lei no. Continuava a fare domande, aveva ripreso a bagnare il letto di notte e voleva spogliare il neonato quando era attaccato al seno. Genitori e zii seppero accogliere con delicatezza il suo malessere, non la sgridarono, non la presero in giro. La mamma le disse anche che è bello avere una vagina e che quando fosse cresciuta avrebbe avuto le mammelle come lei o la zia. Insomma, la si aiutò a piccole dosi ad accettare la sua femminilità, anche in modi indiretti come la cura dei capelli o gli apprezzamenti al suo aspetto. (Particolarmente graditi quelli paterni).Alla fine parve pacificata.
Spesso noi adulti guardiamo alle reazioni e alle curiosità dei bambini secondo la nostra interpretazione, la nostra storia, le nostre paure. Finiamo per immaginare nei loro giochi e discorsi motivazioni che in realtà non hanno né possono avere. Il “gioco del dottore” non è un gioco sessuale come l’adulto lo immagina, ma essenzialmente un bisogno di soddisfare una curiosità. Viceversa bambini che fanno realmente cose “da adulti”, ripetono probabilmente azioni viste o intraviste e quindi vissute con preoccupazione, per il solo fatto di non essere consuete e quindi poco comprensibili ai loro occhi.
A impressioni che avvertono come minacciose reagiscono come possono, in primo luogo con il gioco. Sgridare le bambole e metterle in castigo può essere un modo di acquietare ansie relative alla vita in collettività; distruggere con un sasso le macchinine può risalire alla rabbia accumulata contro il papà o un altro adulto.
Quando avevo sei o sette anni andavo sempre con i cuginetti a casa della nonna in campagna. Ricordo bene come ci piacesse nasconderci nel fienile a rotolarci, a cadere, a nascondersi, ma anche a guardarci l’un l’altro, tra maschi e femmine. Era un gioco innocente: solo curiosità. Una volta il nonno venne a cercarci: “Ah , siete qui. State giocando al dottore? Bene, bene, quando avete finito, venite a mangiare il gelato che ho preparato”. Lo ricordo con tenerezza e penso che l’aria svagata e del tutto naturale del nonno tolse alla faccenda la sua aria di mistero, perché dopo quella volta lo facemmo ancora una volta o due, ma poi non ci venne più in mente.
Il gioco è il giardino segreto di un bambino: non dobbiamo invaderlo in alcun modo né appropriarcene. In una casa, in un asilo nido o una scuola ci dovrebbe essere un luogo riservato, dove i bambini possano ogni tanto sottrarsi agli occhi degli grandi. L’adulto responsabile osserverà con occhio discreto e pur sempre vigile, ma senza intrusioni gratuite. Se ci fosse nel gruppo qualche bambino particolarmente aggressivo anche in senso sessuale, senza colpevolizzarlo bisognerà ovviamente seguirlo da vicino, contenerlo, occuparlo in modo diverso, cercando al tempo stesso di capire il peso dei suoi problemi.
Ricordo ancora molto bene quello che mi capitò quando avevo sei anni. Abitava con noi una studentessa (non so perché, non ho mai potuto parlare con i miei dell’accaduto); ogni tanto veniva a trovarla il fratellino che aveva un anno meno di me. Giocavamo bene insieme, ci inventavamo belle storie avventurose. Sul terrazzo c’era uno spazio un po’ nascosto che era il nostro fortino. Una volta ci venne in mente di spogliarci e di guardarci. Quando il mio amichetto se ne andò, mia madre mi chiese che gioco avessimo fatto ed io candida: ”Ci siamo levati i vestiti e le mutande”. Apriti cielo! Urli a non finire: mi prese di furia, mi fece un bagno, strofinandomi con violenza come se fossi sporca e successivamente mi chiuse a chiave nella mia stanza per più giorni. La ragazza venne immediatamente mandata via e io non ho mai più rivisto il mio piccolo amico.
La lezione mi servì: imparai a dire bugie ai genitori e continuai a fare le mie esplorazioni, ovviamente di nascosto. Non posso però dire che da adulta le mie esperienze sessuali siano state libere e felici.
Quando il gioco può diventare pericoloso?
Quando i bambini adoperano oggetti. Bisogna spiegare loro che guardarsi, fare il bagno insieme, stare nudi sono cose belle, ma con gli oggetti bisogna stare attenti: ci si può fare molto male, così come non si deve toccare con un bastone o altro ancora la faccia di qualcuno. Il corpo dell’altro deve essere rispettato: è questo il concetto che, senza drammatizzare, deve giungere chiaro al bambino.
Per lo stesso motivo non bisogna mai restare indifferenti e tanto meno incoraggiare esplorazioni tra bambini non coetanei. Una ragazzina o un maschietto di undici anni e un bimbetto (o bimbetta) di tre non sono affatto in condizioni di parità sul piano della consapevolezza e della forza. Quindi non è il caso di lasciar correre e bisogna dire con molta chiarezza – pur senza aggressività – che quel gioco non è permesso in alcun modo. In ogni caso azioni del genere sono da cogliere come campanelli d’allarme: osservare, capire, aiutare, proteggere sono indispensabili perché una curiosità appena innocente non si trasformi in abuso. Essenziale non colpevolizzare, perché servirebbe solo ad aggravare il problema.
Quando i genitori, gli educatori hanno sufficiente tranquillità rispetto alle proprie pulsioni sessuali, sono anche in grado di parlare con tutta calma e disinvoltura ai bambini. Ad esempio sul nome da dare alle parti genitali (sono proprio necessari i nomignoli? (Un bimbetto di cinque anni mi ha detto una volta: ”Che stupidi chiamare pisello un cosino lungo che non è nemmeno verde. Io lo chiamo “penino” perché è più piccolo di quello del mio papà “), sul rispondere alle loro domande: “Perché i papà dormono con le mamme?”, “Perché le donne hanno le mammelle?”, “Come fa a entrare il bambino nella pancia?”, “Io posso avere un bambino?”, “Perché la mamma di Tilli è andata all’ospedale a prendere il bambino nuovo?” e così via.
Nel dialogo si dipanano per gradi vari concetti sui quali vale la pena di tornare più volte: ad esempio conoscere il nome di tutte le parti del corpo e quindi poter parlare con eguale tranquillità della lingua o degli occhi come del pene o dei testicoli: E’ una buona strada per sapere che ci sono parti intime e delicate che un altro non può toccare. Questo vale per le natiche, per la schiena, come per la vagina o per il naso.
Il corpo dell’altro è in certo senso sacro, privato: nessuno può toccarlo se non ne riceve il consenso. Il bambino deve sapere con sicurezza che cosa è solo suo, non accessibile ad altri. Gli adulti a lui vicini si devono comportare di conseguenza: se non vuole essere baciato o non apprezza il solletico, lasciamolo in pace. Questa “barriera” molto netta lo aiuterà a capire se qualcuno tenta di sedurlo toccandolo.
C’è chi – davanti alla disarmante innocenza di un piccolino - comincia con un dono, un dolce o solo un sorriso, ma se il bambino sa che l’altro non ha alcun diritto su di lui, riuscirà meglio a respingerlo o per lo meno a parlarne con tranquillità alle persone di cui si fida. L’abitudine allo scambio aperto protegge i bambini molto più che l’essere angosciati dalla paura dello sconosciuto, dalle proibizioni, dalle prediche, tutti mezzi – come tanti dolorosi eventi insegnano – che servono davvero molto poco.
Barbara Fores