Riflessioni sul gioco dei più piccoli
A cura di Mariangela Gianni
Ringraziamo vivamente il gruppo di lavoro del Nido di Caronno Pertusella (Va) – coordinatrice, educatrici e assistenti – per questo importante contributo che concerne in particolare l’infaticabile attività esplorativa dei bambini tra i 15 e i 20 mesi ( limiti d’età assai approssimativi!). Se insoddisfatta, genera reazioni oltremodo negative nei piccoli che si fa presto a giudicare “capricci” e a reprimere nei modi più diversi. Basta così poco invece per vederli sereni nelle loro imprese che noi chiamiamo “gioco”, ma che in realtà sono assai diverse da un bambino e l’altro.
Partiamo da alcune considerazioni di base.
Il bambino, già nel suo primo anno di vita, esplora con interesse attorno a sé e resta a lungo attivo su oggetti liberamente scelti a condizione che:
- viva in una situazione generale di benessere psicofisico, di protezione, continuità, tranquillità realizzata sia attraverso cure corporee costanti, date sempre da una stessa persona – la madre, poi nel Nido l’educatrice di riferimento personale – con la quale intesse un dialogo stabile fatto di contatti, sguardi, sorrisi, voci, attenzioni reciproche e scambi significativi;
- la sua capacità di concentrazione venga favorita e protetta, nel senso di poter completare ogni sua attività di osservazione o di azione, in una situazione di calma, voci contenute, oggetti e spazio sufficienti in cui poter ripetere a piacere ciò che lo interessa, senza venire interrotto o disturbato;
- il bisogno/capacità di polarizzare la propria attenzione sull’oggetto che lo attira non venga deviato da richieste né di socializzazione, né di attività proposte dall’adulto che lo costringano a interrompere, a “spostare” la propria ricerca, ma che abbia tutto il tempo a sua misura per soddisfarla.
Queste considerazioni emergono in modo preciso da tre filoni diversi di studio e di aiuto concreto allo sviluppo individuale dell’essere umano quali:
l’approccio del Centro Nascita Montessori (Roma)
l’intera esperienza di Loczy (Budapest)
le proposte di Elinor Goldschmied (Londra)
tutti e tre sono però in netto contrasto con la modalità più diffusa nei Nidi, come del resto nelle Scuole dell’Infanzia: quella dello stimolare, dell’animare, del “far fare” su programmi e proposte adulte, finalizzati a determinati risultati: scelte che non condividiamo perché riducono il bambino, così ricco di potenzialità e di una sua creatività originale, a mero esecutore o ripetitore di modelli a lui estranei.
Di recente Mariangela Gianni1, coordinatrice del Nido di Caronno Pertusella (VA) - che da oltre vent’anni persegue un programma di accurate osservazioni sulle forme originarie di attività dei bambini - ha messo a punto una serie di considerazioni che danno ulteriore sostegno a questo modo di considerare la ricerca e le abilità di gioco dei più piccoli, che passano per lo più inosservate.
Intanto perché questo collegamento tra cure del corpo e attività spontanea?
Mariangela Gianni – ricordando quanto dice Leboyer in Per una nascita senza violenza, Bompiani 1974, sottolinea che la cura del corpo e il contatto permettono al bambino di sentire come l’adulto sta con lui, come gli risponde. Insieme innescano una circolarità di scambi che rinforza vicendevolmente il loro stare insieme, a partire da taluni momenti privilegiati.
Non si tratta semplicemente di cambiarlo o di nutrirlo senza fretta, ma di adottare quella sequenza di gesti che il bambino può memorizzare2 e che, diventando per lui prevedibile, lo tranquillizza3.
Le cure del corpo sono un campo di esperienze e di scambi alquanto complesso: nel Nido riguardano la relazione stretta con il bambino, ma anche gli scambi con la madre, le riflessioni sul cibo e sul vestiario, le osservazioni dei ritmi del sonno e di quelli della veglia, delle capacità motorie in continua evoluzione e delle progressive attenzioni sull’ambiente e sugli oggetti.
E’ essenziale che l’adulto non confonda stabilità con fissità, non si attacchi a una ripetitività rigida, ma segua un ordine di gesti e di cure che è quello che ha creato in accordo con quel bambino, osservandolo, rispondendo alle sue iniziative, per minime che siano.
Impresa meno difficile se l’adulto ha assimilato un atteggiamento per così dire di contemplazione di ciò che il bambino fa di propria iniziativa: non vuole portarlo al risultato X e quindi sta un passo dietro al bambino piuttosto che avanti a lui4.
Si rafforza per questa via il senso di benessere che col tempo permette al bambino di spostare l’attenzione dalla persona, con cui ha stabilito un legame rassicurante, all’oggetto, al gioco.
Questa modalità è spesso svalutata dalle educatrici, anche quelle uscite dalle Facoltà ma con scarsa esperienza diretta, così come è svalutato di fatto il bambino dei primi due anni. Poiché il suo saper fare è all’apparenza molto poco, ecco scattare negli adulti che si occupano di lui l’insegnare, il guidare, il proporre per condurlo, possibilmente in anticipo, ad azioni e ad abilità previste.
Se a due anni o poco più sa comporre un puzzle da venti pezzi siamo molto orgogliosi, senza renderci conto che forse lo abbiamo portato noi a eseguire una richiesta implicita, a soddisfare una nostra attesa. Lui forse avrebbe fatto altro, ma il suo desiderio di compiacerci è grande almeno quando il bisogno di essere attivo!
Nel corso di trenta anni o più di esperienze nel nostro Nido ci è sembrato necessario riflettere costantemente sugli oggetti che proponevamo ai piccoli contro l’andazzo corrente dei giochi in plastica, didattici e di puro intrattenimento. Ne abbiamo esaminato la progressione (le cosiddette tassonomie) studiata in risposta alle abilità manuali e motorie in continua evoluzione dei bambini.
Ecco un esempio di tassonomia sul tema dell’infilare:
da un unico bastone , corto ( circa 20 cm) e grosso come un manico di scopa, fissato su una base di legno e un solo grande anello – interessante già verso gli 11 mesi - si può passare a due anelli uguali; poi a quattro uguali; quindi ancora quattro, ma due bianchi e due rossi.
Poi si può preparare un bastone di diametro inferiore e due anelli più piccoli oppure due grosse perle, per passare a un abaco a quattro perle e così via.
Lo studio delle tassonomie - che riguarda vari tipi di infilo, di incastro, di travaso e molto altro ancora5 – ponendo attenzione alle dimensioni, alle forme, ai colori, alla varietà dei materiali possibilmente naturali, ha avuto e ha tuttora il grandissimo pregio di allenare gli adulti all’analisi di “che cosa si vuole dare e perché?”.
Per gli oggetti da noi progettati e costruiti ad hoc – lavoro di alto valore formativo per gli educatori – abbiamo sempre privilegiato caratteristiche di semplicità e di sicurezza; limitati di numero per favorire forme spontanee di autocontrollo e senso di compiutezza, sono quasi sempre messi ciascuno in un contenitore (vassoio o cestino, scatola o sacchetto) per facilitare al piccolo il trasporto del gioco nel luogo da lui stesso scelto: per terra, a un tavolo, su una panchetta …
E’ ancora in base all’osservazione che le proposte di gioco vengono disposte ad altezza dei loro occhi e delle loro mani in risposta a un bisogno di scelta, al gesto di questo o di quel bambino, in un luogo scelto con cura che non viene cambiato in modo che i piccoli possano facilmente ritrovarle, scoprendo per gradi il piacere di riportarle dove le hanno prese.
Elemento comune alle strutture educative che si richiamano all’uno o all’altro dei tre filoni sopra ricordati, è il fatto che da un lato si pone grandissima attenzione alle cure corporee, con un occhio molto attento a ogni segnale di autonomia del piccolo bambino; dall’altro l’educatore non guida le attività, non sollecita. Mette a disposizione gli oggetti, ma non spinge a usarli e tanto meno a indicare “come”. Nel caso di utensili o di strumenti che il bambino desideri adoperarli e sia pronto a farlo, l’adulto ne presenta l’uso - del cucchiaio o delle forbici, della brocca o della scopina…- mostrando in breve e lentamente “come si fa” – senza mai obbligando a fare. La scelta, il tempo, il modo sono sempre del bambino.
Negli anni abbiamo sempre meglio messo a fuoco come i piccoli tra i 2 e i 3 anni circa, accanto a forme di gioco simbolico del tutto personali - anche in questo caso mai “animate” direttamente dagli adulti! – siano fortemente interessati al fare davvero: attività con l’acqua, con i cibi non per finta, cioè a quell’insieme di proposte, ben conosciute nelle Case dei Bambini 3-6 anni, come attività di vita pratica, attività di riparazione al disordine (lavare un tavolo, spolverare, spazzare…) o di preparazione come apparecchiare e sparecchiare o anche costruttive come spremere un agrume, impastare e fare semplici biscotti,..
Il risultato è ben noto: mani e mente insieme, precisione, concentrazione, fare per sé, per gli altri e con altri, quiete, fiducia, senso di ordine e di responsabilità e molto altro ancora.
E’ in questo quadro che il gruppo di Caronno, osservando i bambini in attività, ha cominciato a chiedersi se per i bambini tra i 12 e i 20 mesi la modalità tassonomica di proporre corrisponda pienamente ai bisogni della loro fase di sviluppo o se invece, senza rendersene conto, sia anch’essa una richiesta anticipatoria di gesti e di sequenze.
In altre parole, è sorto il dubbio che dessimo loro oggetti pur semplici ma fin troppo strutturati o, meglio, finalizzati in modo diretto a un uso univoco..
Che cosa lo indica? Le forme del cosiddetto “disordine”, la sperimentazione “creativa” che i bambini fanno con oggetti messi a loro disposizione: usano gli anelli per infilarli al braccio, al pomello del termosifone, alla cima sporgente della spalliera d’una sedia. Gli aghi di legno per infilare le grosse perle vengono sì usati in modo “corretto”, ma c’è sempre qualcuno che li adopera invece a mo’ di chiave nel lucchetto o nella serratura di un piccolo mobile, nei fori del polik o tra le sbarre del termosifone.
Dobbiamo impedirlo come forma di disordine o no? si chiedono alcuni. Secondo noi questa ricerca dei bambini è delle più preziose e va protetta (sempre con il limite del farsi male o del nuocere a qualcuno).
Quante volte in casa o al Nido abbiamo osservato questa capacità esplorativa del tutto autonoma, che spinge i piccoli, dopo aver portato ogni cosa alla bocca, a mettere in relazione gli oggetti tra loro: il barattolo piccolo in quello grande e viceversa – ed Elinor ci diceva: “Non ditegli nulla, non rubategli l’esperienza. Lo vede da sé, forse, ma vuole provare e riprovare a modo suo!”.
Esploratore intelligente e avido, quando scopre di poter salire su un primo scalino, diventa irresistibile sperimentatore di sedie e muretti, sgabelli e scale, a volte prima ancora di saper camminare sulle due gambe.
E’ per questo personaggio avventuroso e ostinato che Elinor ha preparato la bella proposta del “gioco euristico”, ma – si chiedono ancora le educatrici di Caronno – nel momento in cui esplode questa fame conoscitiva, soprattutto tra i 14 e i 18 mesi, è giusto limitarla nel tempo e nello spazio o converrebbe ampliarla, studiando l’offerta di materiali non strutturati, ma suscettibili di tante combinazioni diverse, di scoperte dinamiche che non richiedano presentazione alcuna, esattamente come si fa con i contenuti delle sacche per il gioco euristico?6.
Ecco qui di seguito alcune annotazioni raccolte da Mariangela Gianni, a partire da alcune domande:
- Come arriva un bambino (della fascia d’età qui considerata) ad acquisire padronanza dell’oggetto e poi del suo uso?
- Un oggetto lo affascina quindi lo sceglie, lo discrimina, lo riconosce: come passa da tale scelta “casuale” a una intenzionale?
Dapprima procede per prove ed errori con entrambi, poi con oggetti nuovi agisce direttamente in quanto riconosce ormai – senza più verificarlo - ciò che è infilabile in quel foro da ciò che non lo è. Egli stesso ha proceduto in modo tassonomico utilizzando ciò che ha trovato nell’ambiente.
- Come arriva ad acquisire sequenze di azioni collegate tra loro nelle microsituazioni?
- Come distingue /riconosce un approccio relazionale dall’intervento pedagogico della sua educatrice di riferimento?
Queste osservazioni ci hanno portato a considerare secondario - se non negativo - costruire una tassonomia correlata alla capacità della mano via via raggiunta e tendente all’acquisizione della precisione dei gesti, per offrire invece al bambino suggestioni molto aperte – il contesto più che l’oggetto – che gli permettano, prima casualmente, poi intenzionalmente. di scoprire da sé:
° le proprietà degli oggetti
° il rapporto causa – effetto, la permanenza dell’oggetto
° le proprietà dinamiche e funzionali degli oggetti, non solo nell’immediato, ma anche
in futuro, per ciò che potrebbero servire.
Es. In un gruppo di otto bambini tra i 12 e i 14 mesi, stabile da quattro, senza bambini più grandi, osservo Luca che ha in mano un piolo di 2 cm di diametro: lo infila, sembrerebbe a caso, in tutti i fori che incontra nell’ambiente: quelli di un panchetto, del polik, in una bottiglia, in un tubetto. Poi prende un piolo più sottile (1 cm di diametro), ripete il giro di tutti i buchi, quindi lo infila nella serratura della porta e lo riprende per infilargli il cappuccio di una biro. Nel panchetto ci sono fori di due misure diverse: ora prende il piolo corrispondente e lo infila senza errore (scelta intenzionale?). E’ un gioco che non ha visto fare dall’adulto né da bambini più grandi: dunque è arrivato da sé a discriminare la grandezza e ad associare.
Che cosa ha permesso questo?
- l’ambiente strutturato, affinché da un “caos” il bambino arrivi a “ordinare” in modo originale
- la possibilità di libera scelta
- l’attenzione dell’adulto che osserva “col cuore” e in libertà, non tanto per vedere se fa quella determinata azione, ma per scoprire euristicamente come il bambino scopre.
- il non intervento dell’adulto.
Intanto occorre che l’adulto distingua molto bene ciò che è cura e ciò che è gioco-scoperta del bambino, perché è questo che consente la vera libertà di scelta.
Nella cura (da parte dell’adulto) c’è affettività, memoria, identità; ci sono un sapere un ritmo una cultura consolidata. Nel gioco (che è del bambino) c’è invece improvvisazione, lentezza, velocità, piacere, imprevedibilità, innovazione: una modalità di ricerca che sfugge ai nostri parametri di riferimento perché è sempre nuova e originale.
E’ nei gesti di cura che favorisco per il bambino la percezione della misura, l’attenzione alla precisione. E’ come lo siedo sul seggiolone che fa nascere in lui – oltre alle nuove capacità motorie – l’esigenza di sedersi da solo o di trovare il modo di accostare la sedia al tavolo alcuni mesi più tardi.
Non impara a portare la pappa alla bocca dal travaso, ma da come è stato imboccato se il legame con l’educatrice di riferimento è stato significativo e stabile il contesto: è questo che lo guiderà a imparare a distinguere e a riprodurre le azioni in modo via via più personale. Questo lo aiuterà anche a riconoscere che cosa sia il fare davvero dal fare per gioco.
86 estate 05
1 E’ stata tra i soci fondatori dell’Associazione “Percorsi per Crescere “ di Varese (1988) che ha al suo attivo nella regione una vasta azione di formazione e che nel ’98 ha dato vita a una Cooperativa che porta lo stesso nome. Mariangela è tra i suoi consulenti pedagogici.
2 Vedi il concetto di “mente assorbente” in Montessori.
3 L’ordine come sequenza personalizzata delle cure risponde sul piano corporeo a quella bussola basilare che è il periodo sensitivo dell’ordine/ senso di orientamento, secondo la terminologia montessoriana.
4“Segui il bambino” dice Montessori. Ovviamente questo non significa : non porre mai limiti, come taluni fraintendono.
5 E’ stato particolarmente approfondito dal gruppo “Percorsi per Crescere“ di Varese molto vicino nei suoi criteri di ricerca sia al CNM di Roma sia alle esperienze di E. Goldschmied.
6 Di recente ne abbiamo riparlato nel Documento del Quaderno n.79.