Dubbi e domande su Montessori (II parte)
La valutazione è necessaria e la competizione anche: perché opporsi ad essa se è quello che ovunque funziona nel mondo e tiene in piedi l’economia?
E’ vero, siamo minoritari. Non ci piacciono una scuola, un sistema scolastico in cui pochi brillanti emergono, mentre i deboli, incerti e sfiduciati, impiegano le loro forze nell’arrancare per raggiungere i primi senza riuscirci mai.
Preferiamo che ciascuno arrivi da sé secondo i propri ritmi e i propri talenti a ciò che può fare, sentendosi riconosciuto e apprezzato per quanto sa realizzare e che al tempo stesso sperimenti forme diverse di cooperazione e di rispetto reciproco fin dai primi anni, quelle che producono l’aiuto spontaneo, la com - passione, l’ascolto e quindi una forte coesione di gruppo. E’ più facile imparare a collaborare se c’è un ampio gruppo di persone molto diverse tra loro: viceversa più ci si somiglia, più si è passivi, maggiore il rischio del gregarismo e della nascita di leaders prepotenti e negativi.
La competizione, frutto di addestramento subito fin dai primi anni, non fortifica affatto. Serve solo a insegnare trucchi di sopravvivenza: fare la spia; mentire; schernire i deboli; difendersi in un gruppo, ma fuggire vigliaccamente quando si è soli; imbrogliare; agire di nascosto, alle spalle, mentire…
Sono i fenomeni usuali della scuola e i film che vediamo - da Arrivederci ragazzi di Malle dell’87 a About a boy del 2003 per citare due esempi molto lontani fra loro – lo segnalano ripetutamente .
Non è un caso che l’anno scorso Essere e avere di Nicholas Philibert abbia commosso tutta Europa. Un film modesto, secondo molti critici; ha scandalizzato molti (“Non si vorrà tornare alla pluriclasse?”), non presenta nemmeno metodologie innovative, eppure descrive l’ascolto delicato di un maestro con un gruppo di bambini che, dall’asilo alla quinta elementare e forse oltre, imparano la convivenza e il reciproco sostegno: quanto basta per impegnarsi a superare anche i traguardi scolastici che i genitori si aspettano da loro.
Ci conforta peraltro constatare che l’impostazione che noi auspichiamo si ritrova esattamente nelle scuole attive o in quelle che aderiscono al Movimento di Cooperazione Educativa. Per saperne di più leggiamo i libri di Mario Lodi, sperimentiamo gli stages per adulti organizzati dai CEMEA (Centri di Esercitazione all’Educazione Attiva)i n Italia e altrove, andiamo a visitare la bella Scuola per l’infanzia “Margherita Fasolo” a Firenze1 - per non parlare di esperienze come quella di Summerhill - e ci accorgeremo che non sono soltanto i montessoriani a educare mettendosi in ascolto dell’altro, bambino o adulto che sia.
In questi luoghi come nei nostri il giudizio è sospeso. In compenso viene favorita e apprezzata l’autovalutazione, a cominciare dai più piccini che – se gli adulti non li ossessionano – riparano spontaneamente ogni piccolo errore. Perché è proprio della natura umana il desiderio di perfezionare le proprie azioni: da millenni gli individui procedono per tentativi e autocorrezioni: il primo sulla terra che ha acceso un fuoco, la massaia che ha inventato la marmellata, l’artigiano che ha scoperto il modo di lavorare il rame o di costruire un violino, lo scienziato che ha elaborato una formula matematica, milioni di esseri umani hanno provato e provano fino a mettere a punto l’oggetto delle loro ricerche.
E noi che cosa esigiamo dai nostri figli e allievi? Sempre il tutto perfetto e subito. Guai se sbagliano! Non diamo loro nemmeno il tempo di avvedersene da soli e li aggrediamo.
Nella vita bisogna purtroppo imparare subito a fare anche quello che non piace. Con questi sistemi li abituate troppo bene: come si adatteranno poi all’altra scuola, a stare zitti ad ascoltare, a fare ogni giorno compiti e compiti, e domani a obbedire senza discutere a un datore di lavoro?
Anche questa è una vecchia storia. Libertà di scelta non significa assenza di regole. Nelle comunità libere è inevitabile che esistano leggi precise condivise: i bambini grandi le ragionano e le decidono insieme, i piccoli le ricevono dall’adulto (“Non si toglie un gioco a un altro bambino”, “Quello che si adopera, lo si mette a posto” o altro del genere) ma è essenziale che la loro assimilazione avvenga in un clima non aggressivo, con la pazienza che richiede ogni lento e graduale apprendimento.
Ricordo bene come in pieno ’68 nella Casa dei Bambini di cui ero responsabile c’erano genitori che contestavano queste minime norme (“Devono essere liberi”) accusandoci di essere dittatoriali, mentre prima e non molti anni dopo siamo tornati alla favola del “Si sa, in una scuola Montessori fanno quello che vogliono”.
In realtà è il contrario, ha detto una volta un ragazzino: “Noi vogliamo quello che facciamo”.
L’obbedienza alle regole stupide, diceva don Milani, non è una virtù. Noi ne siamo convinti: non va chiesto ai ragazzi alcun conformismo, alcun sì solo per quieto vivere. Un ex allievo era passato dalle nostre elementari alle medie con un gruppo di suoi compagni fra cui una ragazzina più lenta, silenziosa: ne aveva preso le difese quando uno dei professori si era permesso di prenderla in giro, umiliandola pesantemente. Finito in presidenza per le sue contestazioni, aveva difeso le proprie ragioni, nei modi appresi nei tanti anni precedenti. Il coraggio e la calma ragionevolezza che seppe dimostrare si risolsero alla fine a favore della sua coetanea.
Ma ci fu un altro caso: per aver difeso un compagno punito ingiustamente, una ragazzina subì a lungo una sorta di mobbing da parte dei compagni e di alcuni professori al punto che i genitori si videro costretti a iscriverla in un’altra scuola.
Non credo tuttavia che simili episodi di vera e propria resistenza siano solo di ex allievi Montessori: sono tanti i docenti che aiutano i ragazzi a formarsi una coscienza civile e morale, nella convinzione che essa debba andare di pari passo alla materia che insegnano. A molti altri – la maggioranza, temo – è invece indifferente: non hanno avuto alcuna formazione in merito.
Ogni giorno, si può dire, nelle nostre scuole tocchiamo con mano che manifestarsi senza paura nel rispetto degli altri rende più forti, più persuasi che la violenza sotto qualsiasi forma sia qualcosa da affrontare con la forza della ragione, senza temere le conseguenze.
“Allevate dei Don Abbondio al contrario” disse una volta un visitatore: immagine colorita e lusinghiera.
L’adesione intelligente alle norme condivise, al rispetto dell’altro, chiunque sia e qualunque ruolo rivesta, è uno degli aspetti che si constata felicemente quando dopo la seconda infanzia il ragazzo comincia la ricerca di nuovi orizzonti, nuove figure adulte.
E’ un passaggio che nel nostro paese non si può constatare perché non esistono scuole medie montessoriane e spesso l’ingresso nella prima media – statale o privata che sia - è doloroso e deludente (non solo per i “nostri”): nessuna accoglienza, non di rado aggressività gratuite e poi, dai piccoli ai grandi, il tono direttivo è sempre lo stesso: ”Ti dico io quello che devi fare”.
I “nostri” sono anche scandalizzati del disordine, dell’incuria che trovano, del fatto che si possa sporcare un’aula, rovinare un libro, un armadio, un muro. “Tanto che ti frega, non è mica tuo!”. La carta si può buttare terra, “se no la bidella che ci sta a fare?”.
Gli “altri” invece non ci fanno caso: sono abituati a questo fin da piccoli.
Nella parte finale della Sua domanda emerge il fine vero di una modalità scolastica così disastrosamente passivizzante: creare cittadini di serie B, obbedienti, riguardosi verso l’autorità, soprattutto poco critici. E’ ovvio che noi proponiamo l’esatto contrario.
Intanto però li tenete sotto una campana di vetro, lontani dal mondo brutto e cattivo. Come reggeranno la delusione?
Siccome il mondo è “brutto e cattivo” dobbiamo fin dai primi anni aggredirli, tartassarli con cose che non amano fare, ossessionandoli con i “Sei bravo/Non sei bravo”, i verbi e le tabelline, i compiti e le letture obbligate?
Se siamo un’isola felice, non è colpa nostra. La proposta è estensibile a chiunque e dovunque. A pochi viene in mente che se si presentano taluni scogli nell’apprendimento, forse questo dipende da come vengono insegnate le varie materie, spesso senza suscitare alcun interesse o con trucchi mnemonici.
Vorremmo invece che tutti i bambini potessero trovare un aiuto profondo alla formazione logica come all’indipendenza tramite l’educazione sensoriale, le attività di vita pratica e altro ancora o, più tardi, innamorarsi - come i “nostri” - dell’analisi logica o della tavola pitagorica, delle quattro operazioni o della lettura, presentate loro a piccoli passi e in tanti modi affascinanti.
Perché Maria Montessori il problema di come insegnare dalla parte dei bambini se l’è posto e ha capito che le cosiddette materie non possono essere…olio di ricino nascosto nella cioccolata, ma precise risposte alle varie fasi dello sviluppo e per questo appunto affascinanti: gli oggetti sensoriali e il fare davvero nella prima infanzia; le invenzioni e le scoperte dell’umanità, matematica inclusa, nella seconda (per limitarci alla scuola elementare).
Ma non solo: ogni apprendimento – almeno fin verso gli otto anni - deve avvenire nella massima concretezza possibile, con materiali esatti che consentano l’autocontrollo degli errori eventuali. Pensati su una base sensoriale, permettono di scoprire i segreti meccanismi di argomenti in apparenza astratti come ad esempio il sistema decimale o le potenze dei numeri. Trasformano i prodotti in rettangoli e quadrati, la tavola pitagorica in uno splendido decanomio di perle. I triangoli sono i costruttori di altre forme secondo la geometria euclidea e averli adoperati a lungo fin da piccoli rende molto semplice e piacevole più tardi capire i misteri delle aree e dei volumi. E poi la storia, la biologia, la geografia, l’arte, la matematica come strumenti per conoscere il cammino della nostra specie. E’ quello che chiamiamo educazione cosmica, il cui fine è capire il posto di noi esseri umani sul pianeta, il senso di responsabilità verso la biosfera e l’umanità stessa.
Il segreto risiede nel fatto che nessun materiale è adoperato dal maestro per far lezione, ma è strumento di lavoro per il bambino o ragazzo: li usa a suo piacere, da solo o con un compagno di sua scelta, per il tempo sente necessario fino all’astrazione. Esattamente come noi adulti quando ascoltiamo tante volte un disco che ci piace, fino a sentirlo davvero nostro.
La ripetizione motivata dal proprio interno porta naturalmente alla memorizzazione e non c’è bambino o ragazzo che non si appassioni a questi che non sono trucchi didattici, ma risposte agli interessi personali e della fase che egli sta attraversando.
L’istituzione scolastica – statale o privata – di tipo tradizionale è troppo statica e indifferente ai veri bisogni personali dei bambini e dei ragazzi - in certo modo troppo presuntuosa e ideologizzata sull’essere umano come “agente di produttività” - per poter dare su vasta scala le risposte differenziate che essi si aspettano.
Inoltre semplifica: il Nido tende a somigliare alla “materna”, questa alle elementari e le elementari alle medie. Le superiori trattano gli adolescenti come bambinetti, con le stesse minacce e gli stessi ricatti. Piccoli o grandi che siano, i nostri figli o nipoti sono tante monadi che, solo se “fortunati”, trovano ascolto presso gli adulti.
86-estate 05